Internazionale
12.10.2016
Nepal
La
lingua sbagliata
di
Eleanor Hildebrandt, Boston Review, Stati Uniti
Nella
scuola del distretto di Lalitpur, in Nepal, dove lavoro come
assistente d’inglese, c’è un grande murale colorato che
proclama: “Il mondo è una serratura. L’istruzione è la chiave”.
Ma oggi per gli studenti nepalesi la chiave, più che l’istruzione
in generale, è la conoscenza dell’inglese. “Il mondo oggi è
come un unico paese”, dice Rupchandra Gopali, il vicepreside della
scuola, che è anche insegnante d’inglese. “L’inglese è uno
strumento sempre utile in ogni paese anche dove si parlano altre
lingue. Se i ragazzi imparano l’inglese possono lavorare ovunque”.
Da più di quarant’anni le scuole private prevedono classi in cui
s’insegna in inglese invece che in nepalese. Anche se nella
didattica l’inglese è accettato in dai tempi del piano
sull’istruzione del 1971, negli ultimi anni la preferenza per le
scuole private che insegnano solo in questa lingua è notevolmente
aumentato, in particolare nella valle di Kathmandu, dove è più
probabile che le famiglie se lo possano permettere. Nella regione ci
sono circa 1.500 scuole private e appena seicento scuole pubbliche,
una distribuzione molto diversa da quella del resto del paese, dove
meno del 20 per cento delle 35mila scuole attive, tra primarie e
secondarie, sono private. Questa tendenza sta mettendo in difficoltà
le scuole statali. Dato che i finanziamenti pubblici dipendono dal
numero degli iscritti, perdere studenti significa avere meno fondi a
disposizione, e se le iscrizioni dovessero scendere ancora, molti
istituti potrebbero essere accorpati o chiusi. Le scuole pubbliche
devono combattere contro la convinzione diffusa che la qualità
dell’istruzione offerta dagli istituti privati sia più alta, una
percezione legata soprattutto ai risultati dei test: circa l’80 per
cento degli studenti che superano l’esame di maturità ha
frequentato una scuola privata. Nel tentativo di fermare la fuga
degli studenti, alcune scuole di comunità hanno cominciato a
insegnare in inglese, un sistema che molti nepalesi associano agli
istituti privati. I genitori sono contenti di questa decisione,
perché possono avere gratis, o pagando una retta minima, gli stessi
vantaggi delle scuole private. Ma la scelta di cambiare la lingua
d’insegnamento comporta notevoli complicazioni. Nelle scuole
pubbliche molti insegnanti hanno solo una conoscenza basilare
dell’inglese, e il governo non è in grado di garantire a tutti dei
corsi di formazione per colmare le lacune. Ramesh Prasad Ghimire
lavora all’ufficio del ministero dell’istruzione che ha il
compito di stilare i programmi nazionali e di controllare la qualità
dei libri di testo pubblicati da editori privati. Ghimire mi ha
spiegato che se una scuola cambia lingua d’insegnamento, il governo
non è in grado di intervenire e rivedere la formazione dei docenti
Alcuni progetti, come quello avviato di
recente con il British council per insegnare l’inglese ai maestri
delle elementari, potranno essere utili se le scuole decidono di
passare all’inglese, ma in genere sono gli istituti a occuparsi
della formazione, assumendo insegnanti d’inglese con l’aiuto di
qualche ong. “Il governo non può e, credo, non
dovrebbe decidere la lingua d’insegnamento”, ha detto Ghimire.
“Esistono tanti contesti diversi”.
La
mia scuola sostiene di usare l’inglese fino
al settimo anno. In realtà, la maggior parte dei miei colleghi fa
ancora lezione in nepalese. Soprattutto quando le materie diventano
più complicate, non avere solide basi d’inglese rende praticamente
impossibile usarlo regolarmente. Nonostante questo, i manuali e gli
esami sono tutti in inglese: per preparare gli studenti a un test –
il principale strumento di valutazione in Nepal – le spiegazioni
sono in una lingua, mentre i contenuti da imparare sono dati in
un’altra. Di conseguenza gli insegnanti spesso dedicano molto tempo
a una specie di botta e risposta, per aiutare gli studenti a
memorizzare alcune frasi chiave del manuale, invece che approfondire
gli argomenti. Shyan Sharma, un professore di scrittura e retorica
della Stony Brook university, è contrario a usare l’inglese come
lingua per l’insegnamento nelle scuole perché costringe gli
studenti a concentrarsi sui test e quindi a memorizzare dati e frasi
invece di aiutarli a imparare e a pensare in modo critico o a
scrivere meglio. Prima di trasferirsi negli Stati Uniti, Sharma ha
insegnato per sette anni nelle scuole private che usavano l’inglese,
e per altri sette è stato professore all’università Tribhuvan di
Kathmandu. Al telefono mi spiega che usare esclusivamente l’inglese
spesso diventa un peso inutile sia per gli studenti sia per i
docenti. “Non sono contrario all’inglese né all’idea che gli
studenti nepalesi debbano impararlo bene. Sono contrario alla stupida
idea di insegnare letteratura e scienze in inglese. Soprattutto
quando gli insegnanti non lo parlano fluentemente”. Alcune
conseguenze di questo sistema sono evidenti. Nella mia classe, molti
degli alunni più piccoli pronunciano le parole inglesi più
velocemente e correttamente di quelle nepalesi, ma senza capire
quello che dicono. La maggior parte di loro un giorno vorrebbe andare
in un paese anglofono. Inoltre i genitori spesso non conoscono
l’inglese, quindi i ragazzi non possono chiedere aiuto a loro per i
compiti. E apprendere in una lingua straniera è più difficile,
soprattutto se si è piccoli e non si ha un metodo di studio. Pochi
dei miei studenti cercano di risolvere da soli un problema se non lo
capiscono subito; alzano la mano per chiedere a me. Questo li
costringe a imparare a memoria. Sono abituati ad avere sempre la
risposta giusta e di solito chi prova a indovinare o dà una risposta
approssimativa non è apprezzato dalla classe. Ma queste difficoltà
non s’incontrano solo nelle scuole dove s’insegna in inglese. In
qualsiasi istituto pubblico in cui s’insegna in una lingua diversa
dal nepalese gli studenti fanno una grande fatica. Molte scuole di
comunità hanno pochi fondi, e quindi non riescono a integrare il
lavoro in classe con materiale visivo o attività extracurricolari.
Anche i test sono fonte di tensione: già nel primo anno sono
previsti tre esami, che consumano molto tempo ed energie. Molti
studenti, soprattutto le ragazze, devono anche aiutare la famiglia e
non vengono quasi mai a scuola. Da una ricerca dell’Unesco è
emerso che in tutto il mondo i bambini imparano meglio – tutte le
materie, comprese le lingue straniere – se fino a sei o otto anni
studiano nella lingua che hanno appreso in dalla prima infanzia.
Michel DeGraf, che insegna linguistica e filosofia al Massachusetts
institute of technology, ha condotto una ricerca sull’istruzione ad
Haiti, dove la lingua predominante nelle scuole è il francese ma
quasi tutta la popolazione parla creolo, e sostiene che i bambini non
solo imparano meglio quando studiano nella loro madrelingua ma sono
anche più preparati a partecipare alla vita sociale. In Nepal la
legge consente alle scuole di usare la lingua locale per
l’insegnamento dal 1971, ma secondo l’ultimo censimento le lingue
indigene sono 123 e meno di metà della popolazione parla nepalese
come prima lingua. Secondo il piano di riforma della scuola per il
periodo 2009-2015 i bambini avevano diritto a ricevere un’istruzione
nella loro lingua madre almeno fino alla terza elementare, e la nuova
costituzione, approvata nel 2015, afferma che “ogni comunità ha il
diritto di essere istruita nella sua lingua fino alla scuola
secondaria”. Ma alla fine la scelta della lingua da usare spetta ai
comitati scolastici locali e quel diritto non è sempre garantito.
Alcune comunità spingono per un’istruzione nella loro lingua, in
alternativa o prima dell’inglese. Secondo Ghemire questo avviene
perché le minoranze sono più consapevoli dei loro diritti. Le
comunità locali cercano di preservare la loro cultura attraverso la
lingua, che è sempre più emarginata. E il governo ha fatto
preparare manuali in 25 delle lingue autoctone non nepalesi. Ma anche
le comunità che usano questi manuali sentono la pressione
dell’inglese. Da uno studio condotto nel 2014 è emerso che in
tredici scuole comunitarie della valle di Kathmandu, dove nelle prime
classi si usava la lingua locale, in genere i genitori erano
favorevoli a questa scelta ma temevano che così i figli avrebbero
avuto meno opportunità di lavoro all’estero. Il sistema didattico
nepalese è molto giovane. Prima del 1950 all’istruzione pubblica
in qualsiasi lingua poteva accedere solo chi apparteneva alle caste
più alte o alle élite. Poi sono stati fatti grandi progressi in
tempi relativamente brevi. Secondo la Banca asiatica per lo sviluppo,
nel 2014 il 97 per cento dei bambini nepalesi in età da scuola
elementare ne frequentava una. L’influenza dell’inglese è sempre
stata presente nel sistema scolastico. All’inizio del novecento le
élite facevano venire gli insegnanti dal Regno Unito. La prima
università nepalese offriva solo corsi in inglese. Di conseguenza
l’inglese si è diffuso con l’istruzione stessa, e la tendenza è
stata d’insegnarlo con sempre più anticipo. Il vicepreside Gopali
dice che quando lui andava a scuola l’inglese non s’insegnava
prima del quarto anno. Oggi, invece, è obbligatorio in dal primo.
Visione romantica La decisione di usare l’inglese per
l’insegnamento, tuttavia, non viene dall’alto, sono i genitori
che vogliono farlo imparare bene ai figli. Indubbiamente è un
desiderio ragionevole, in particolare per quelli che vivono vicino
alle grandi città o nella valle di Kathmandu, dove per i posti di
lavoro più prestigiosi e redditizi è richiesta la conoscenza
dell’inglese. Sono sempre di più i nepalesi che lasciano il paese
per andare a studiare e lavorare all’estero. Secondo la Banca
mondiale, nel 2015 le rimesse degli emigranti hanno costituito il 32
per cento del pil nazionale. Sempre nel 2015, secondo il World travel
& tourism council, il contributo diretto del turismo
rappresentava il 4 per cento del pil. Inoltre, tra il 2014 e il 2015,
più di 29mila studenti hanno dichiarato di voler andare a studiare
all’estero. Già nel 2011 circa il 14 per cento dei giovani viveva
in altri paesi per lavoro o per studio. Non tutti cercano lavoro in
paesi anglofoni: anche le nazioni del golfo Persico, la Malesia e
l’India sono destinazioni popolari, mentre il Giappone fa
concorrenza all’Australia e agli Stati Uniti come meta di studio.
Senza contare che i turisti indiani e cinesi sono molto più numerosi
degli statunitensi. Ma i nepalesi pensano che l’inglese, rispetto
alle altre lingue, sia più utile. Secondo Sharma molti associano
l’inglese al successo e al prestigio, senza considerare le
ripercussioni del suo uso nella società e soprattutto nelle scuole.
Considerare l’inglese la lingua delle opportunità è puro
romanticismo, dice, perché in realtà l’inglese è un ostacolo per
la mobilità sociale. “Dovrebbero cominciare a rendersi conto che è
la lingua delle opportunità per quelli che sono già privilegiati”,
dice. “Per gli altri non lo è affatto, è diventata una barriera
da superare. Non so perché stiamo facendo questo alla nostra gente”.