lunedì 14 novembre 2016

Internazionale 12.10.2016
Nepal
La lingua sbagliata
di Eleanor Hildebrandt, Boston Review, Stati Uniti

Nella scuola del distretto di Lalitpur, in Nepal, dove lavoro come assistente d’inglese, c’è un grande murale colorato che proclama: “Il mondo è una serratura. L’istruzione è la chiave”. Ma oggi per gli studenti nepalesi la chiave, più che l’istruzione in generale, è la conoscenza dell’inglese. “Il mondo oggi è come un unico paese”, dice Rupchandra Gopali, il vicepreside della scuola, che è anche insegnante d’inglese. “L’inglese è uno strumento sempre utile in ogni paese anche dove si parlano altre lingue. Se i ragazzi imparano l’inglese possono lavorare ovunque”. Da più di quarant’anni le scuole private prevedono classi in cui s’insegna in inglese invece che in nepalese. Anche se nella didattica l’inglese è accettato in dai tempi del piano sull’istruzione del 1971, negli ultimi anni la preferenza per le scuole private che insegnano solo in questa lingua è notevolmente aumentato, in particolare nella valle di Kathmandu, dove è più probabile che le famiglie se lo possano permettere. Nella regione ci sono circa 1.500 scuole private e appena seicento scuole pubbliche, una distribuzione molto diversa da quella del resto del paese, dove meno del 20 per cento delle 35mila scuole attive, tra primarie e secondarie, sono private. Questa tendenza sta mettendo in difficoltà le scuole statali. Dato che i finanziamenti pubblici dipendono dal numero degli iscritti, perdere studenti significa avere meno fondi a disposizione, e se le iscrizioni dovessero scendere ancora, molti istituti potrebbero essere accorpati o chiusi. Le scuole pubbliche devono combattere contro la convinzione diffusa che la qualità dell’istruzione offerta dagli istituti privati sia più alta, una percezione legata soprattutto ai risultati dei test: circa l’80 per cento degli studenti che superano l’esame di maturità ha frequentato una scuola privata. Nel tentativo di fermare la fuga degli studenti, alcune scuole di comunità hanno cominciato a insegnare in inglese, un sistema che molti nepalesi associano agli istituti privati. I genitori sono contenti di questa decisione, perché possono avere gratis, o pagando una retta minima, gli stessi vantaggi delle scuole private. Ma la scelta di cambiare la lingua d’insegnamento comporta notevoli complicazioni. Nelle scuole pubbliche molti insegnanti hanno solo una conoscenza basilare dell’inglese, e il governo non è in grado di garantire a tutti dei corsi di formazione per colmare le lacune. Ramesh Prasad Ghimire lavora all’ufficio del ministero dell’istruzione che ha il compito di stilare i programmi nazionali e di controllare la qualità dei libri di testo pubblicati da editori privati. Ghimire mi ha spiegato che se una scuola cambia lingua d’insegnamento, il governo non è in grado di intervenire e rivedere la formazione dei docenti Alcuni progetti, come quello avviato di recente con il British council per insegnare l’inglese ai maestri delle elementari, potranno essere utili se le scuole decidono di passare all’inglese, ma in genere sono gli istituti a occuparsi della formazione, assumendo insegnanti d’inglese con l’aiuto di qualche ong. “Il governo non può e, credo, non dovrebbe decidere la lingua d’insegnamento”, ha detto Ghimire. “Esistono tanti contesti diversi”.
La mia scuola sostiene di usare l’inglese fino al settimo anno. In realtà, la maggior parte dei miei colleghi fa ancora lezione in nepalese. Soprattutto quando le materie diventano più complicate, non avere solide basi d’inglese rende praticamente impossibile usarlo regolarmente. Nonostante questo, i manuali e gli esami sono tutti in inglese: per preparare gli studenti a un test – il principale strumento di valutazione in Nepal – le spiegazioni sono in una lingua, mentre i contenuti da imparare sono dati in un’altra. Di conseguenza gli insegnanti spesso dedicano molto tempo a una specie di botta e risposta, per aiutare gli studenti a memorizzare alcune frasi chiave del manuale, invece che approfondire gli argomenti. Shyan Sharma, un professore di scrittura e retorica della Stony Brook university, è contrario a usare l’inglese come lingua per l’insegnamento nelle scuole perché costringe gli studenti a concentrarsi sui test e quindi a memorizzare dati e frasi invece di aiutarli a imparare e a pensare in modo critico o a scrivere meglio. Prima di trasferirsi negli Stati Uniti, Sharma ha insegnato per sette anni nelle scuole private che usavano l’inglese, e per altri sette è stato professore all’università Tribhuvan di Kathmandu. Al telefono mi spiega che usare esclusivamente l’inglese spesso diventa un peso inutile sia per gli studenti sia per i docenti. “Non sono contrario all’inglese né all’idea che gli studenti nepalesi debbano impararlo bene. Sono contrario alla stupida idea di insegnare letteratura e scienze in inglese. Soprattutto quando gli insegnanti non lo parlano fluentemente”. Alcune conseguenze di questo sistema sono evidenti. Nella mia classe, molti degli alunni più piccoli pronunciano le parole inglesi più velocemente e correttamente di quelle nepalesi, ma senza capire quello che dicono. La maggior parte di loro un giorno vorrebbe andare in un paese anglofono. Inoltre i genitori spesso non conoscono l’inglese, quindi i ragazzi non possono chiedere aiuto a loro per i compiti. E apprendere in una lingua straniera è più difficile, soprattutto se si è piccoli e non si ha un metodo di studio. Pochi dei miei studenti cercano di risolvere da soli un problema se non lo capiscono subito; alzano la mano per chiedere a me. Questo li costringe a imparare a memoria. Sono abituati ad avere sempre la risposta giusta e di solito chi prova a indovinare o dà una risposta approssimativa non è apprezzato dalla classe. Ma queste difficoltà non s’incontrano solo nelle scuole dove s’insegna in inglese. In qualsiasi istituto pubblico in cui s’insegna in una lingua diversa dal nepalese gli studenti fanno una grande fatica. Molte scuole di comunità hanno pochi fondi, e quindi non riescono a integrare il lavoro in classe con materiale visivo o attività extracurricolari. Anche i test sono fonte di tensione: già nel primo anno sono previsti tre esami, che consumano molto tempo ed energie. Molti studenti, soprattutto le ragazze, devono anche aiutare la famiglia e non vengono quasi mai a scuola. Da una ricerca dell’Unesco è emerso che in tutto il mondo i bambini imparano meglio – tutte le materie, comprese le lingue straniere – se fino a sei o otto anni studiano nella lingua che hanno appreso in dalla prima infanzia. Michel DeGraf, che insegna linguistica e filosofia al Massachusetts institute of technology, ha condotto una ricerca sull’istruzione ad Haiti, dove la lingua predominante nelle scuole è il francese ma quasi tutta la popolazione parla creolo, e sostiene che i bambini non solo imparano meglio quando studiano nella loro madrelingua ma sono anche più preparati a partecipare alla vita sociale. In Nepal la legge consente alle scuole di usare la lingua locale per l’insegnamento dal 1971, ma secondo l’ultimo censimento le lingue indigene sono 123 e meno di metà della popolazione parla nepalese come prima lingua. Secondo il piano di riforma della scuola per il periodo 2009-2015 i bambini avevano diritto a ricevere un’istruzione nella loro lingua madre almeno fino alla terza elementare, e la nuova costituzione, approvata nel 2015, afferma che “ogni comunità ha il diritto di essere istruita nella sua lingua fino alla scuola secondaria”. Ma alla fine la scelta della lingua da usare spetta ai comitati scolastici locali e quel diritto non è sempre garantito. Alcune comunità spingono per un’istruzione nella loro lingua, in alternativa o prima dell’inglese. Secondo Ghemire questo avviene perché le minoranze sono più consapevoli dei loro diritti. Le comunità locali cercano di preservare la loro cultura attraverso la lingua, che è sempre più emarginata. E il governo ha fatto preparare manuali in 25 delle lingue autoctone non nepalesi. Ma anche le comunità che usano questi manuali sentono la pressione dell’inglese. Da uno studio condotto nel 2014 è emerso che in tredici scuole comunitarie della valle di Kathmandu, dove nelle prime classi si usava la lingua locale, in genere i genitori erano favorevoli a questa scelta ma temevano che così i figli avrebbero avuto meno opportunità di lavoro all’estero. Il sistema didattico nepalese è molto giovane. Prima del 1950 all’istruzione pubblica in qualsiasi lingua poteva accedere solo chi apparteneva alle caste più alte o alle élite. Poi sono stati fatti grandi progressi in tempi relativamente brevi. Secondo la Banca asiatica per lo sviluppo, nel 2014 il 97 per cento dei bambini nepalesi in età da scuola elementare ne frequentava una. L’influenza dell’inglese è sempre stata presente nel sistema scolastico. All’inizio del novecento le élite facevano venire gli insegnanti dal Regno Unito. La prima università nepalese offriva solo corsi in inglese. Di conseguenza l’inglese si è diffuso con l’istruzione stessa, e la tendenza è stata d’insegnarlo con sempre più anticipo. Il vicepreside Gopali dice che quando lui andava a scuola l’inglese non s’insegnava prima del quarto anno. Oggi, invece, è obbligatorio in dal primo. Visione romantica La decisione di usare l’inglese per l’insegnamento, tuttavia, non viene dall’alto, sono i genitori che vogliono farlo imparare bene ai figli. Indubbiamente è un desiderio ragionevole, in particolare per quelli che vivono vicino alle grandi città o nella valle di Kathmandu, dove per i posti di lavoro più prestigiosi e redditizi è richiesta la conoscenza dell’inglese. Sono sempre di più i nepalesi che lasciano il paese per andare a studiare e lavorare all’estero. Secondo la Banca mondiale, nel 2015 le rimesse degli emigranti hanno costituito il 32 per cento del pil nazionale. Sempre nel 2015, secondo il World travel & tourism council, il contributo diretto del turismo rappresentava il 4 per cento del pil. Inoltre, tra il 2014 e il 2015, più di 29mila studenti hanno dichiarato di voler andare a studiare all’estero. Già nel 2011 circa il 14 per cento dei giovani viveva in altri paesi per lavoro o per studio. Non tutti cercano lavoro in paesi anglofoni: anche le nazioni del golfo Persico, la Malesia e l’India sono destinazioni popolari, mentre il Giappone fa concorrenza all’Australia e agli Stati Uniti come meta di studio. Senza contare che i turisti indiani e cinesi sono molto più numerosi degli statunitensi. Ma i nepalesi pensano che l’inglese, rispetto alle altre lingue, sia più utile. Secondo Sharma molti associano l’inglese al successo e al prestigio, senza considerare le ripercussioni del suo uso nella società e soprattutto nelle scuole. Considerare l’inglese la lingua delle opportunità è puro romanticismo, dice, perché in realtà l’inglese è un ostacolo per la mobilità sociale. “Dovrebbero cominciare a rendersi conto che è la lingua delle opportunità per quelli che sono già privilegiati”, dice. “Per gli altri non lo è affatto, è diventata una barriera da superare. Non so perché stiamo facendo questo alla nostra gente”.