internazionale 28.10.2016
Cosa ci insegnano i migranti sull’Europa
di Natalie Nougayrède
Probabilmente l’immigrazione continuerà a essere un tema centrale della politica europea ancora per molto tempo. Era al cuore della campagna referendaria sulla Brexit nel Regno Unito (anche se in quel caso riguardava per lo più le migrazioni interne all’Unione) ed è destinata a dominare le elezioni in Francia e Germania dell’anno prossimo, che si concentreranno sull’immigrazione extracomunitaria. Secondo le Nazioni Unite 3.800 persone sono morte nel Mediterraneo dall’inizio di quest’anno, una cifra record. L’Europa ha chiuso la rotta balcanica e quella dell’Egeo, ma mai così tante persone erano morte in un anno nel Mediterraneo centrale nel disperato tentativo di arrivare in Italia. Il tema dell’immigrazione ha definito la retorica politica in Europa, e probabilmente continuerà a farlo. Da un lato ci sono gli internazionalisti progressisti legati ai princìpi fondamentali d’accoglienza o al sogno di un mondo senza frontiere. Dall’altro ci sono i costruttori di muri xenofobi che vedono l’immigrazione come una moderna versione delle invasioni barbariche, una minaccia per la cultura e la civiltà. Sfortunatamente sono questi ultimi a prevalere oggi. Uno dei danni collaterali della politica della postverità è che non solo il presente viene distorto, ma il passato è riscritto. Nella retorica degli intolleranti, il mondo europeo sta crollando sotto il peso degli arrivi in massa di persone la cui cultura sarebbe incompatibile con la nostra. In Francia, la cosiddetta teoria della grande sostituzione prevede che, come risultato delle migrazioni, il popolo francese sarà rimpiazzato da estranei non europei che distruggeranno l’identità del paese. Echi simili si trovano nel movimento Pegida in Germania, il cui nome per esteso è “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’occidente”. La crisi dei profughi del 2015 ha messo gli europei di fronte allo specchio, obbligandoli a chiedersi chi sono e come definiscono se stessi e le proprie azioni. Gli 1,3 milioni di persone arrivate nel continente lo scorso anno rappresentavano solo lo 0,2 per cento della popolazione totale dell’Unione europea: un numero che si poteva gestire. La sola Germania ne ha accolte circa ottocentomila. È l’equivalente dell’uno per cento della sua popolazione, una percentuale uguale a quella delle persone accolte nel 1992, quando la gente fuggiva dalle guerre nei Balcani e gli abitanti di nazionalità tedesca lasciavano l’Unione Sovietica. Se quella del 2015 è stata una crisi, non ha riguardato i migranti, che sapevano da cosa fuggivano e dove volevano andare, ma semmai le società e i governi europei, che non sono stati all’altezza della situazione. In realtà l’Europa non si trova davanti a una crisi dei migranti. Sono i migranti che devono affrontare la crisi dell’Europa. Lo scandalo è che, nel Mediterraneo, abbiano dovuto pagare con la loro vita. I demografi sostengono che l’anno chiave per le migrazioni in Europa sia stato il 2014, quando per la prima volta il continente ha superato gli Stati Uniti come destinazione dei migranti: circa 1,9 milioni di migranti sono arrivati nell’Unione europea (che conta 508 milioni di abitanti), mentre un milione ha raggiunto gli Stati Uniti (che hanno una popolazione di 319 milioni). In questo modo in Europa si è arrivati ad avere 3,7 migranti regolari ogni mille abitanti, mentre negli Stati Uniti 3,1. Questa è la nuova realtà che molti europei devono ancora riconoscere. Storicamente l’Europa ha esportato la sua popolazione o verso lontani possedimenti coloniali, con obiettivi di conquista e dominazione, o nel nuovo mondo come conseguenza della povertà, della persecuzione o della guerra. Oggi l’Europa è diventata la principale destinazione di chi cerca sicurezza e una vita migliore. Il fatto è semplice: siamo più ricchi e stabili di molte altre parti del mondo. E la nostra diversità è destinata a crescere, ma non secondo le prospettive di una “grande sostituzione”. L’Europa ha bisogno dell’immigrazione come di un’iniezione di gioventù e dinamismo se, nei decenni a venire, vorrà affrontare i problemi legati alle pensioni e alla forza lavoro. Gli europei un tempo si accalcavano nelle imbarcazioni in arrivo a Ellis Island, a New York, o al Pier 21 di Halifax, in Canada, due luoghi diventati oggi dei musei. Al Pier 21 sono esposte le foto dei profughi ungheresi che, sfuggiti alle repressioni dopo la rivolta di Budapest del 1956, festeggiavano il loro arrivo. Forse Viktor Orbán, il primo ministro ungherese che si autodefinisce “illiberale” e che chiude le porte ai profughi, dovrebbe dare un’occhiata. Canada e Stati Uniti sono paesi che devono molto all’arrivo di persone partite da lontano. I paesi europei hanno un’altra storia. Ma l’Europa potrebbe trarre ispirazione dalla capacità di creare una prospettiva positiva che accolga i migranti invece di trattarli come una minaccia. L’Europa, in quanto nuovo continente d’immigrazione, avrà sempre più bisogno di una simile prospettiva.
NATALIE NOUGAYRÈDE è una giornalista francese. È stata corrispondente di Libération e della Bbc dalla Cecoslovacchia e dal Caucaso e ha diretto Le Monde dal 2013 al 2014. Scrive questa column per il Guardian.