Il Sole Domenica 6.11.16
la domanda filosofica più importante
Dov’è l’origine della modernità?
A Boston se ne discute a partire da due figure cruciali nella storia dell’umanità: Galileo e Machiavelli
di Mario De Caro
«Cos’è
la realtà?», «Cos’è giusto e cos’è ingiusto?», «Cosa possiamo
conoscere?», «Qual è la forma migliore di convivenza umana?», «Chi sono
io?», e così via. Come ognun sa (o dovrebbe sapere), le domande
filosoficamente più profonde non trovano mai risposte del tutto
convincenti. Una volta venute alla luce, infatti, esse non cessano mai
di ripresentarsi, in forme solo parzialmente diverse di epoca in epoca, e
continuano così a sfidare la capacità di comprensione degli esseri
umani. Così, se qualche sapientone vi venisse a dire che la risposta a
qualcuna di quelle domande è ovvia, potete stare certi che o bluffa
oppure non sa di cosa parla.
È però legittimo chiedersi se tra
queste domande ce ne sia una più importante delle altre. Uno dei
maggiori filosofi viventi, John Searle, in proposito non ha dubbi. A suo
giudizio, la domanda più importante che la filosofia contemporanea si
trova davanti è: «Come si può conciliare la concezione di noi stessi in
quanto agenti creatori di significati, liberi, razionali e così via con
un universo che consiste interamente di brute particelle fisiche,
sprovviste di mente, significato, libertà e razionalità?». Dalla
risposta che diamo a questa domanda, discendono tutte le altre.
Nella
sostanza, molti filosofi contemporanei la pensano come Searle, anche se
non tutti si esprimerebbero in modo tanto crudo. Il punto è che, in
sostanza, la domanda di Searle ne generalizza un’altra, che fu posta
nientemeno che da Immanuel Kant nella terza antinomia della Critica
della Ragione Pura. In quell’opera il grande filosofo di Königsberg si
chiedeva come fosse possibile conciliare due affermazioni che
singolarmente prese ci paiono certe, ma che tra loro sembrano
contraddittorie. La prima affermazione (la «tesi» della terza antinomia)
è che noi possiamo agire esercitando il libero arbitrio e quando lo
facciamo siamo responsabili per l’azione che compiamo. La seconda idea
(l’«antitesi»dell’antinomia) è che la facoltà del libero arbitrio è
incompatibile con il carattere deterministico delle ineludibili leggi
naturali scoperte da Newton.
Il problema di Kant è generalizzato
da Searle, perché oltre al libero arbitrio, anche le altre prerogative
fondamentali che ci autoattribuiamo (la coscienza, la moralità, la
razionalità, la capacità di dare significato alle azioni e alle cose)
sembrano incompatibili con il mondo naturale, così come esso ci viene
presentato dalla scienza. In effetti, al di là della sicumera di Searle,
è innegabile che il problema generale della collocazione del mondo
umano nel contesto del mondo naturale sia centrale per la filosofia
contemporanea – almeno nel caso in cui non si prendano facili
scorciatoie, come quella di chi nega legittimità alla visione
scientifica del mondo o quella di chi, a contrario, sostiene che questo
problema è illusorio perché la scienza, e solo la scienza, spiega tutto
ciò che c’è da spiegare.
Come gli altri genuini problemi
filosofici, anche il problema di Searle ha una lunga storia, che risale a
ben prima di Kant. Secondo qualcuno, il suo termine a quo è
rappresentato dalla filosofia di Descartes che rispondeva al problema
del posto dell’umano nel mondo naturale con il suo rigido dualismo: la
mente, con tutte le sue prerogative, prima tra tutte la libertà, si
colloca, secondo Descartes, in un mondo ontologicamente irrelato al
mondo della materia. Una soluzione molto drastica, che però si rivelò
subito insoddisfacente, perché è evidente che le due presunte sostanze
(il pensiero e la materia), lungi dall’essere irrelate, interagiscono
causalmente l’una con l’altra. Sarebbe però errato iniziare la
genealogia della frattura tra l’immagine umana e l’immagine scientifica
del mondo con la filosofia cartesiana. L’origine di questa scissione,
infatti, si ritrova nel grande pensiero italiano del Rinascimento e
della prima età moderna, e in particolare nei suoi due maggiori
protagonisti: Niccolò Machiavelli e Galileo Galilei.
Il Segretario
fiorentino fu il primo a offrire, a inizio Cinquecento, una compiuta
visione secolarizzata, in cui l’agire umano si emancipava dai vincoli di
un’etica religiosamente informata e, più in generale, da un quadro
metafisico in cui tutto era tenuto assieme dalla provvidenza divina.
Nella visione machiavelliana si saldavano in modo originale temi
aristotelici (la rilevanza delle idee di virtù e di autonomia,
l’eternità del mondo, il valore dell’astrologia) ed epicurei (il ruolo
della contingenza nell’esercizio della virtù politica, la prossimità tra
esseri umani e animali). E in questo modo Machiavelli plasmava
un’antropologia naturalistica che avrebbe avuto grande influenza nei
secoli successivi. In quell’antropologia, però, la razionalità (nella
sua accezione politica) e la normatività (nel suo senso metastorico)
continuavano a giocare un ruolo cruciale.
Quando, però, un secolo
dopo, Galileo comprese che le categorie matematiche con cui si
studiavano i moti celesti erano applicabili anche sulla Terra, e in
questo modo fondava la fisica moderna, la dimensione del reale si
restrinse alle cosiddette «qualità primarie» dei corpi, quelle
quantitative e relazionali, mentre le «qualità secondarie» (qualitative e
modali), e con esse le categorie modali e normative, venivano
cancellate dal mondo reale. Come Husserl scrisse in Krisis, capolavoro
della sua maturità, con Galileo iniziava la separazione tra il mondo
della percezione e quello della scienza. Una separazione che avrebbe
portato alla terza antinomia di Kant e alla questione prioritaria della
filosofia contemporanea di cui parla Searle.
Machiavelli fondò
dunque la moderna concezione dell’umano, Galileo la moderna concezione
della natura: la modernità, con la sua costitutiva scissione tra mondo
umano e natura, ha le proprie radici saldamente piantate in Italia. Di
questo, e degli sviluppi che ne seguirono, discuteranno tra pochi
giorni, in un grande convegno che si terrà a Boston presso le università
di Harvard e di Tufts, alcuni dei massimi esperti mondiali.
Boston,
10 e 11 novembre 2016, Harvard University e Tufts University, con la
collaborazione dell'Università Roma Tre: convegno su The Italian Roots
of Modernity: Machiavelli e Galileo . Tra i partecipanti Antonio
Clericuzio, Mario De Caro, Ioannis Evrigenis, James Hankins, Harvey
Mansfield, Gabriele Pedullà, Eileen Reeves, Mark J. Schiefsky, George
Smith, Michelle Tolman-Clarke e Vickie Sullivan