Il Sole Domenica 6.11.16
Domande ultime
Cosa verrà dopo?
Oltre la frontiera della morte c’è un incontro o un abisso? Un giudizio o un silenzio? Le riflessioni di Camillo Ruini
di Gianfraco Ravasi
Anni
fa, dopo aver dedicato un libro al tema dell’anima nella storia del
pensiero filosofico, teologico e letterario, fui tentato di condurre una
ricerca su quel “dopo” che è chiamato immortalità o risurrezione o
novissimi o altro ancora. Avevo cominciato a costruire una piccola
biblioteca di saggi sull’argomento: è stato proprio durante questo
allestimento bibliografico che mi sono convinto a desistere da
un’impresa che assomigliava alla scalata di un monte dalla vetta
invisibile e forse irraggiungibile. Non ho, però, mai abbandonato le
letture dei testi di quegli autori che, spesso parzialmente, hanno
tentato quell’ascesa.
Ho, così, incrociato ora il saggio del
cardinale Camillo Ruini che – abbandonati per ragioni cronologiche gli
importanti incarichi ecclesiali da lui rivestiti – ha realizzato quello
che anch’io auspico di poter fare nel mio futuro non lontano, cioè
ritornare alla lettura e agli studi. Che abbia letto molto di
quell’imponente bibliografia è attestato non solo dalla letteratura
teologica, che è in palinsesto a molte sue pagine (e questo è anche
scontato, tenendo conto della sua matrice originaria di docente di
questa disciplina), ma soprattutto e a sorpresa è documentato dal
capitolo dedicato all’“alternativa naturalistica”. Si tratta di una
breve ma densa sezione ove si affacciano non solo Darwin con la teoria
evoluzionistica ma anche i cultori delle nuove scienze cognitive, a
partire da Turing per passare a Putnam e Searle e giungere anche a Quine
e a Nagel, sconfinando persino nelle periferie più generiche (che però
sono maggiormente affollate dei centri scientifico-filosofici) ove
dominano, ad esempio, le voci di Tiziano Terzani e di Steve Jobs.
Un’attenzione,
quindi, piuttosto inattesa a un orizzonte paradossalmente netto eppure
fluido che, però, registra un’audience altissima, soprattutto per le
potenzialità “trans- o post-umane” su cui si affaccia. Come scriveva il
neurologo Alberto Granato, citato in queste pagine, «se il XX secolo è
stato per le neuroscienze il secolo del neurone, il XXI secolo sarà
probabilmente ricordato come quello della plasticità neuronale». Con
tutte le conseguenze del caso, se appena si fanno balenare temi come
libertà, responsabilità etica, coscienza e così via, senza appunto
escludere anche l’interrogazione sull’anima e sulla sua realtà finita o
immortale. Abbiamo scelto questo capitolo del libro di Ruini come avvio
non solo perché è quello che maggiormente accetta la sfida della
modernità socio-culturale, scendendo nella piazza ove spesso le domande
metafisiche sono lasciate cadere nella polvere e calpestate, ma anche
perché con questa sezione ci troviamo collocati come su un crinale.
Da
un versante, infatti, si allarga la distesa della storia passata e
presente con le sue infinite ramificazioni: si pensi solo alla foresta
delle escatologie delle grandi religioni, all’arcobaleno delle varie
prospettive del pensiero umano, a partire dalla classicità greco-romana,
fino alla motilità delle esperienze contemporanee sospese tra l’eccesso
e l’afasia su questo tema, alla stessa teologia che in questo campo ha
acceso «un focolaio di disordini», per usare un’espressione di uno dei
maggiori teologi del Novecento, Hans Urs von Balthasar. Ruini gode, al
riguardo, di una duplice dote, rara in altri autori religiosi: da un
lato, la capacità della sintesi centrata, pronta a mozzare la seduzione
delle ramificazioni e, d’altro lato, a differenza di non pochi suoi
colleghi, la chiarezza e precisione del dettato, evitando certe
autoreferenzialità oracolari che si ammantano di oscurità compiaciuta.
Ma
da quel crinale sopra evocato si dirama un altro e ben più vasto
versante, un territorio che il teologo cattolico Ruini ha già
perlustrato in passato e che ora torna a rivisitare per stenderne una
nuova tappa. Fuor di metafora, siamo davanti all’escatologia cristiana
che all’uomo contemporaneo sbatte in faccia – la locuzione non è forte
perché potrebbe essere una variante della formula «scandalo-stoltezza»
usata dall’apostolo Paolo – ancora una volta la risurrezione di Cristo. A
questo punto erompe la cascata delle interrogazioni che si trasformano
in tesi per il credente e che possiamo soltanto far balenare e non certo
descrivere. Il cardinale, infatti, assume subito la delicata questione
del linguaggio che è la spia di una più incandescente sotto-traccia,
ossia l’operazione ermeneutica degli asserti sull’oltrevita. Asserti
che, come dicevamo, si allungano inanellandosi tra loro, a partire
proprio dalla soglia di partenza, la morte, che – per usare
un’intuizione di Rilke – è «l’altra faccia della vita rispetto a quella
rivolta verso di noi».
Oltre quella frontiera c’è un incontro o un
abisso, un giudizio o un silenzio finale? Il Caproni del Franco
cacciatore non esitava: «Se ne dicono tante. / Si dice, anche, / che la
morte è un trapasso. / (Certo: dal sangue al sasso)». Se invece, come
suggerisce il cristianesimo (e altre religioni), si procede oltre, ecco
subito un altro quesito: risurrezione dai morti o immortalità? Si tratta
di una delicata conseguenza di antropologie diverse, la greca
immortalistica, l’ebraica risurrezionistica: alternative e incompatibili
tra loro oppure in contrappunto non antitetico bensì “simbolico”? Come
corollario discende la qualità della vita eterna che non può essere una
materiale “in-finità” temporale, e neppure una trascendente permanenza
senza termine, bensì nella versione biblica un ingresso gratuito, e
quindi donato alla creatura, nell’orizzonte del divino (il «Dio tutto in
tutti» paolino) ma non per un panteismo, bensì per un en-teismo
salvifico.
Affiora a questo punto quella trilogia classica che
l’arte ha trasformato in un fittissimo trittico polimorfo e policromo:
inferno-purgatorio-paradiso. Esso, in realtà, nasconde profili ben più
sostanziali rispetto alla pur affascinante velatura alla Bosch o alla
Michelangelo o Dante. Il cardinale non esita a inseguirne tutte le
deduzioni e le obiezioni, inoltrandosi anche nell’evoluzione che su
questi temi è stata prodotta dalla diacronia storica. Cerca, così, di
dipanare un filo coerente, non ignorando anche i nodi minori come la
domanda sulla «sorte dei bambini morti senza il battesimo», tema
inchiodato nelle menti di tutti con la parola “limbo”, un vocabolo che è
una variante di “lembo”, perché lo si considerava un ambito marginale e
distinto rispetto all’inferno.
Alla fine, lo sguardo
retrospettivo al percorso compiuto acquista una tonalità che
occhieggiava già nella “parola confidenziale” dell’introduzione e in
altre pagine, ossia la testimonianza personale della propria certezza su
quel “dopo”. Una certezza indubbiamente solida e intimamente cristiana,
ma che si fa carico anche del peso delle incertezze altrui,
riconoscendone l’autenticità. Le ultime parole dell’uomo e credente
Ruini sono, perciò, non enfatiche e apodittiche: «Non sono arrivato ad
avere del “dopo” una certezza puramente razionale. Ed è giusto che sia
così, perché la salvezza eterna è un dono da chiedere con umiltà, non
qualcosa da conquistare, nemmeno sul piano conoscitivo». Il suo saggio –
che ha persino anticipato il titolo a cui pensavo per il mio testo mai
realizzato sul tema “C’è un dopo?” (io mi ero orientato semplicemente a
un “E dopo?”) – mi ha convinto ancora di più ad abbandonare questa
impresa ardua, consapevole che i lettori hanno ora già a disposizione
una traccia nitida da seguire.
Camillo Ruini, C’è un dopo? La morte e la speranza , Mondadori, Milano, pagg. 200, € 19