Il Sole 5.11.16
L’Europa e le elezioni Usa
La risposta cattiva e l’alternativa peggiore
di Carlo Bastasin
Ad
occhi europei, la prima apparizione di Donald Trump tra i candidati
alla presidenza degli Stati Uniti, deve aver ricordato la comparsa
all’orizzonte di TurTur, il gigante della favola tedesca, che da lontano
sembra enorme, ma che si rimpicciolisce tanto più si avvicina. È
un’immagine letteraria per convincere i bambini che le loro paure sono
esagerate e che saranno sempre in grado di confrontarsi con ogni realtà.
Anche quello europeo era in fondo un pensiero infantile. Una certa
ingenua fiducia nella democrazia spingeva a credere che, alla fine, un
elettorato maturo come quello americano avrebbe espresso una scelta
razionale, di auto-conservazione, o una preferenza utilitaristica.
Ma
Trump fa parte di un altro mondo della fantasia diventato reale anche
in Europa. Un sociologo tedesco individua nelle motivazioni dei nuovi
elettorati anti-sistema, o xenofobi, un “desiderio di punizione”, una
pulsione che è al tempo stesso protezione di valori e castigo, e che si
esprime tra i più forti e al tempo stesso tra i più deboli. Trump è la
figura che convoglia le paure e le ritorsioni, il secondo emendamento e
le pallottole, ingrandendo se stesso passo dopo passo, inglobando valori
e vittimismo, modificando il linguaggio e il paesaggio che attraversa.
Solo
in parte il voto sarà deciso da argomenti razionali e dal giudizio
degli elettori sulla globalizzazione o sulla disuguaglianza. La potente
liturgia della sfida presidenziale non ha disperso, bensì rafforzato, un
equivoco originario che ha corroso la scelta raziocinante: tra pochi
giorni gli Stati Uniti voteranno candidati i cui profili sembrano tratti
dai cliché sull’America Latina, la moglie di un ex presidente contro un
populista caricaturale. Per quanti talenti entrambi possano avere, e
certamente Clinton ne ha, un sistema politico iper-polarizzato, un
sistema mediatico isterico e la sconvolgente trasformazione dei social
media in camere ad eco, li hanno resi parodie di se stessi o puri
bersagli antagonistici.
È tuttora probabile che la maggioranza
dei collegi finisca alla candidata democratica, che il Senato cambi di
mano e che la maggioranza repubblicana alla Camera si riduca.
Ma i
sismografi elettorali paventano che l’esito dipenda da dettagli di
solito irrilevanti: lo sciopero dei mezzi pubblici a Philadelphia, il
rischio di uragani in North Carolina e in Florida, vecchi filmati su
Trump o nuove e-mail di Hillary. Poco più di un soffio su un castello di
carta, e il 2016 passerà alla storia come l’anno in cui per la prima
volta una donna sarà l’individuo più potente del pianeta, o invece come
l’anno in cui finirà l’ordine globale retto dai valori della
Costituzione americana.
Di questo ordine globale fanno parte
elementi come il destino della Nato, i rapporti con la Russia e il
futuro del commercio mondiale, che vedono l’Europa più esposta di
chiunque altro, qualunque sia il futuro presidente.
Trump ha
messo in questione la funzionalità della Nato e perfino i suoi principi.
Ha vantato una grande sintonia con Vladimir Putin e ostentato disprezzo
per l’Unione europea. Infine ha attaccato il libero scambio. Non è
necessario assecondare le teorie cospirative, secondo cui il voto di
martedì è stato influenzato da un arco oscuro che include Mosca e Riad e
che condivide l’interesse per prezzi del petrolio più alti e per
assetti violenti in parti del Medio Oriente, per capire come la capacità
di intervento europeo sullo scacchiere globale sia inadeguata, senza
l’appoggio di Washington e nella confusione mentale di Londra. Molti
Paesi europei si stanno chiudendo al mondo esterno nel momento stesso in
cui le minacce stanno crescendo e l’alleato tradizionale è meno in
grado di aiutarli. Il caso Brexit è certamente esemplare. La paralisi
elettorale franco-tedesca non aiuta. Bruxelles è sempre più indebolita.
A
Washington, l’Europa viene descritta come un continente che ha perso il
controllo dell’immigrazione e ha fallito nell’integrazione. L’idea
europea secondo cui il perdono, non il castigo, è la radice etica della
giustizia, non ha più potere di convinzione ora che Barack Obama
abbandona la scena. Trump crede piuttosto nei muri e negli oceani e nel
fatto che popolazioni europee che si sentissero fragili, invocherebbero
l’uomo forte, proprio come molti americani impauriti hanno risposto con
cieca gratitudine alle sue suggestioni. Normalizzando atteggiamenti che
prima di lui erano per lo più intollerabili, Trump sta abbattendo i tabù
delle culture democratiche: il rispetto per le donne, la promessa di
incarcerare l’avversario politico, il discredito sulle procedure
elettorali, il richiamo ai propri supporter a non accettare
pacificamente il risultato.
Obama aveva accettato che la crisi
europea dei rifugiati fosse una priorità anche per gli Usa, ha sostenuto
la missione Nato contro i trafficanti nel Mediterraneo orientale pur
lasciandone la guida agli europei. Infine ha annunciato di voler
moltiplicare la presenza di truppe nell’Est Europa. In effetti le
presidenze Obama sono trascorse ininterrottamente in stato di guerra.
Nonostante
il carattere di alcuni suoi consiglieri, è improbabile che Hillary sia
ancora più incline ai conflitti. Da segretario di Stato era favorevole
allo sviluppo di uno “smart power”, destinato a diventare sempre più
importante ora che le tecnologie informatiche stanno indebolendo –
anziché rafforzare – le democrazie rispetto a Russia, Cina e altre
potenze autocratiche. Ma anche nel caso di vittoria, Hillary finirà
indebolita dalle conseguenze della campagna elettorale. Senza una netta
vittoria alla Camera, rischia di trascorrere quattro anni tra “shutdown”
del governo, minacce di impeachment, con un voto di mid-term che per
ragioni tecniche sarà infernale per il suo partito, e con decine di
milioni di repubblicani convinti che sia un presidente illegittimo. Il
Congresso non userà il linguaggio di Trump, ma l’idea che gli europei
sfruttino l’ordine globale a spese americane è diffusa e inseguirà
Hillary per quattro anni. L’Europa deve preparare una risposta unita e
convincente e offrire una sponda credibile o il 9 novembre per gli
europei non ci sarà una notizia buona o una cattiva. Ma una cattiva o
una peggiore.