il manifesto 5.11.16
Fotografie di un paese popolato da maschi, bianchi e arrabbiati
Saggi. «Angry White Men» di Stony Brook
di Guido Caldiron
Tutti
i sondaggi sono concordi: se l’8 novembre a votare fossero solo quelli
che il censimento degli Stati Uniti definisce come «bianchi caucasici»,
vincerebbe Donald Trump. Uno dei fantasmi ricorrenti del dibattito
pubblico americano sta così definitivamente prendendo corpo.
Il
tema dello sviluppo di una sorta di «nuova classe», a metà strada tra
l’appartenenza sociale e lo stato d’animo collettivo, indicata con il
termine di «maschi bianchi arrabiati», si segnala infatti fin dagli anni
Novanta per definire i sentimenti di frustrazione e malessere della
working class come del ceto medio bianco.
In assenza, a lungo, di
studi e inchieste specifiche, la cultura di massa aveva offerto un
ritratto-tipo dei presunti protagonisti di questo fenomeno attraverso la
figura di Bill Foster, il protagonista del film Un giorno di ordinaria
follia, diretto nel 1993 da Joel Schumacher e interpretato da Michael
Douglas: un bianco quarantenne che ha perso il lavoro che nel pieno del
traffico estivo di Los Angeles finisce per perdere la testa e distrugge
tutto ciò che incontra al suo passaggio.
ALL’EPOCA il personaggio
fu considerato il simbolo del disagio tra i bianchi diplomati, il cuore
della piccola borghesia del paese, le prime vittime di quella
redistribuzione della ricchezza verso l’alto condotta dalle
amministrazioni repubblicane fin dagli anni di Reagan che ha favorito i
manager delle aziende a sfavore di tutti gli altri. Invece di
prendersela con gli yuppie o con la politica della destra, ancora una
volta il nemico sono diventate le minoranze, le donne e le istituzioni
federali.
L’emergenza di questa componente della società americana
torna oggi d’attualità con la corsa di Trump visto che sono stati
proprio i «bianchi arrabbiati» a determinare la sua affermazione nelle
primarie del Gop. Nel frattempo, il sociologo della Stony Brook
University di New York Michael Kimmel, che studia da tempo i vari
aspetti della culture maschili e le loro manifestazioni anche estreme,
ad esempio nel movimento delle Milizie come tra i sostenitori del II
emendamento, i fanatici delle armi, ha cercato di fissare nel volume
Angry White Men (Nation Books, pp. 316, $ 16,99) i contorni fin qui
incerti del fenomeno parlando di figure maschili che «esprimono in forme
sempre più aggressive il loro risentimento nei confronti dei profondi
cambiamenti economici, sociali e politici che hanno trasformato il paese
nel corso degli ultimi decenni».
Individui che si sentono in
qualche modo defraudati, privati senza motivo di qualcosa che
apparteneva loro: in particolare di «quei privilegi di razza e di genere
che hanno caratterizzato a lungo i membri maschili della working class
bianca».
IN QUESTO SENSO, la trasformazione demografica del paese,
la fine delle tradizionali gerarchie razziali, i «nuovi» diritti
acquisiti dalle donne, da gay e lesbiche, come la precarizzazione
lavorativa e la perdita di status, sembrano aver prodotto in questa
componente tutt’altro che marginale della comunità bianca un senso di
ansia e frustrazione che già durante gli anni di Obama si sono espresse
attraverso una radicalizzazione politica a destra, poi assecondata da
molti dirigenti del Partito repubblicano. Ma che, suggerisce ancora
Kimmel, emerge talvolta anche nelle storie personali dei giovani bianchi
del ceto medio responsabili di eccidi apparentemente senza senso in
scuole e college. Se qualcuno pensava che il portato della candidatura
di Trump si sarebbe arrestato, quale ne sia l’esito finale, al voto, ha
ora nuovi argomenti per riflettere.