Il Sole 5.11.16
È in Florida la madre di tutte le battaglie
di Marco Valsania
L’ultimo
messaggio rivolto ai sostenitori dal senatore Marco Rubio è un appello
urgente e allarmato. Chiede a tutti di scendere in campo, di donare
soldi e tempo, soprattutto di recarsi alle urne, durante le ultime ore
di campagna elettorale in Florida. Invita a votare per il candidato
repubblicano alla presidenza Donald Trump, che ora sostiene dopo averlo
osteggiato nelle primarie del partito, e anche per lui, che cerca la
riconferma di un seggio al Senato, essenziale alla difesa di una
maggioranza conservatrice al Congresso. È un appello accorato perché,
avverte, «potrebbe avverarsi il disegno di Hillary Clinton di
trasformare la Florida in uno stato davvero blu». Blu, cioè, come il
colore dei democratici.
I sondaggi danno ragione a Rubio nel
mettere in luce la grande incertezza dello scontro nel Sunshine State,
lo stato del Sole. Nel sottolineare che la Florida potrebbe, ancora una
volta, diventare uno tra gli stati - e forse lo stato - capace di fare e
disfare sogni di conquista della Casa Bianca e di Washington, le più
recenti inchieste d’opinione mostrano un testa a testa tra Clinton e
Trump, con un leggero vantaggio, ma entro i margini di errore, della
portabandiera democratica. Un duello altrettanto duro è in corso tra
Rubio e lo sfidante democratico al suo seggio Patrick Murphy, ex
repubblicano e uomo d’affari passato ai rivali nel 2011 in protesta
contro la deriva a destra del partito.
Segno delle mire di
entrambi i partiti, sia Clinton che Trump hanno battuto senza sosta lo
stato in lungo e in largo in dirittura d’arrivo delle urne. E, eccezione
nazionale, la Florida è stata inondata di pubblicità elettorale in un
anno in cui Trump aveva spezzato anche questo tabù, evitando di spendere
in spot e trainando al ribasso gli abituali budget televisivi: nello
stato i due partiti hanno investito 125 milioni in inserzioni per
elezioni generali, un record. Senza la Florida vincere per Trump
richiede una conquista quasi impossibile della mappa elettorale, dalla
Pennsylvania a tutti gli stati incerti e buona parte del Midwest. Per
Clinton, conquistare lo stato la metterebbe al riparo da rischi di
sconfitte altrove, in regioni un tempo democratiche e ora sensibili al
richiamo dell’avversario.
Le elezioni sono in realtà già
cominciate da giorni in Florida, grazie alle regole che permettono il
voto via posta e anticipato. Ma restano da vedere le cifre finali
dell’affluenza alle urne nelle diverse aree di uno stato con vaste
differenze interne, venti milioni di abitanti e il terzo Pil del Paese,
per poter anche solo valutare le vere chance di vittoria. Clinton conta
su una popolazione sempre più multi-etnica, che ha visto l’ingresso di
nuovi elettori soprattutto ispanici e di origine portoricana che tendono
a votare democratico. La comunità portoricana ormai rivaleggia per
dimensioni con la tradizionale comunità cubana, in passato più
conservatrice e anch’essa oggi più aperta a consensi progressisti. In
vantaggio netto in questo elettorato, un margine rafforzato dalle
polemiche sulle posizioni anti-immigrati di Trump, la candidata
democratica spera di rafforzare le possibilità di vittoria mobilitando i
suoi sostenitori nelle aree urbane di Miami e cercando di affermarsi
nel corridoio a maggior crescita economica, lungo l’autostrada
Interstate-4.
Questo corridoio che dagli anni Sessanta taglia in
due lo stato da Est a Ovest, tra Daytona Beach nei pressi di Orlando e
Tampa, ha fama di essere il luogo che “sceglie i presidenti” per la
concentrazione di elettori indipendenti, che in tutto lo stato sono un
contingente particolarmente elevato, un quarto del totale di oltre 12
milioni. È soprattutto lungo i 212 chilometri del Corridor della I-4 che
l’economia della Florida ha recuperato, trainata da costruzioni,
immobiliare e retail, da una recessione particolarmente profonda e
durata due anni in più rispetto al resto del Paese. Una ripresa che ha
ridotto la disoccupazione al 4,7%, una percentuale stabile ormai da
maggio. Ed è qui che è stata riversata la metà del budget della
pubblicità elettorale nello stato, 60 milioni, per convincere 5,5
milioni di potenziali votanti aumentati del 52% in 16 anni, 2 milioni di
democratici, altrettanti repubblicani e 1,5 milioni di non affiliati.
Trump
conta invece di contenere le perdite a Miami, battersi alla pari tra
gli indipendenti e stravincere nelle roccaforti conservatrici, bianche e
disagiate, nel Sudovest e a settentrione. Qui la elevata partecipazione
al voto anticipato lo incoraggia. Intensi scontri sono in atto per la
fiducia di altre fasce di elettori. Dalla comunità afroamericana, che si
era mobilitata per il “suo” presidente, Barack Obama, spingendolo a
vincere la Florida di poche decine di migliaia di voti nel 2012 davanti a
Mitt Romney, e che potrebbe invece rimanere più sorda a Clinton. Fino
al voto ebraico e a quello degli anziani, che della Florida hanno spesso
fatto una nuova patria negli anni della pensione.
Ma a tenere
alta la suspense è anche e forse anzitutto la lunga storia di elezioni
travagliate in Florida. Nel Duemila il duello all’ultimo voto venne
risolto soltanto dalla Corte Suprema a vantaggio del repubblicano George
W. Bush contro il democratico Al Gore, per 537 schede tra polemiche su
voti annullati e nuovi conteggi. Oggi le tecnologie sono spesso
cambiate, prevale il voto elettronico e le schede lette da scanner
ottici. Ma la Florida, con il suo bottino di 29 Grandi Elettori per la
Casa Banca (sui 270 necessari) a pari merito con New York e alle spalle
dei 55 della California e dei 38 del Texas, adesso come allora è lo
stato “battleground” per eccellenza, terreno di battaglie politiche
decisive.