il manifesto 5.11.16
La debolezza delle élite Usa chiama Europa, e l’Italia insegna
di Michele Prospero
Lo
spettacolo del duello tra Clinton e Trump rappresenta il processo
degenerativo del potere contemporaneo. Anche l’impero è nudo, per la
pochezza della catena di comando. I postmoderni regimi monoclasse
mostrano una carenza organica nei processi di selezione della leadership
e si consolidano i tentativi di imprenditori che tentano l’assalto al
pubblico potere senza trovare intralcio.
Una contaminazione
pubblico-privato si presenta con regolarità, così come ricorrente è il
doping comunicativo che banalizza la competizione per il potere, a
conferma che, se considerato su scala comparata, il caso Berlusconi non
era poi una pura bizzarria mediterranea.
Accanto alla ibridazione
di politica e interessi che vede nel governo una postazione per
proseguire l’accumulazione con altri mezzi, e alla riduzione della
politica a chiacchiera, si affaccia il familismo amorale di candidati
presidenti che sono mogli, figli di precedenti inquilini della Casa
Bianca. Un tempo così incerto, che accentua i segni di anarchia nelle
relazioni internazionali, con il comandante in capo Obama più volte
rimpicciolito dalle mosse tattiche di Putin, vede sgretolarsi la
capacità di governo basata sul Washington consensus.
L’altra
sponda dell’oceano non pare più rassicurante nel controllare le
dinamiche del potere di quanto non appaia la vecchia Europa che è alle
prese con un ceto politico ovunque aggredito dalla protesta.
Dall’Austria, che annuncia la costruzione di muri e commette errori
procedurali pacchiani per la elezione del presidente, alla Francia, che
mostra il precipitare dell’Eliseo nella mediocrità, dalle nuove
democrazie dell’est in preda a spinte reazionarie al più antico
costituzionalismo inglese che disarciona l’apprendista stregone Cameron,
tutti i sistemi politici vagano alla ricerca di simulacri di statisti, e
devono rassegnarsi alla resa dinanzi al vuoto.
I nuovi ceti
politici europei, per non essere da meno a quelli della Casa Bianca,
trascurano di «leggere le istorie», si affidano a guru e marketing, e
così misconoscono le maniere efficaci per la gestione di organizzazioni
complesse di potere. Dinanzi alle emergenze non sanno che decisioni
prendere secondo la weberiana dimensione tragica della politica. La
pochezza dei ceti politici reclutati in occidente fa risplendere le
severe procedure formative e selettive delle classi dirigenti adottate
in sistemi illiberali come quello cinese.
Anche la leadership che
in terra europea è più forte, quella della Merkel, mostra un deficit di
strategia. Gli imperativi assoluti del Berlino consensus impongono agli
altri paesi un dominio di pura potenza, senza apertura all’egemonia che
prevede strumenti più complessi di direzione. In un momento decadente di
elitismo senza grandi élite, il progetto europeo naufraga.
E così
la formazione delle classi dirigenti, in un’età del pubblico
passivizzato, obbedisce a canoni di superficialità, gioco, fuga. Se il
sistema non dispone di altri centri di potere e influenza, cui demandare
le scelte più strategiche, o non si avvale della tradizione di governo
garantita da una solida amministrazione, il re appare davvero nudo. Il
politico cattura la massa di cittadini consumatori con i ritrovati
scenografici di una rappresentazione deviante e la capacità di governo
evapora.
Con la politica data in appalto alle potenze economiche,
che esprimono un politico che recita e gioca, la dittatura del capitale è
totale ma anche acefala e priva di ogni capacità di piano. Il
capitalismo tende a soffocare la democrazia, a renderla un puro gioco
insignificante. Paga a caro prezzo il suo dominio: con l’espulsione del
grande nemico comunista, il capitale non dispone di strumenti
correttivi. L’anarchia del capitale, che conquista il governo come un
angolo di mercato, più il poliziotto, che reprime e sorveglia sui corpi,
è lo scenario del tardo capitalismo, che si trova dinanzi a un bivio:
rinascita del conflitto di classe o suicidio per la follia intrinseca
del mercato.