il manifesto 5.11.16
America ai confini della realtà
di Luca Celada
L’evento
che è riuscito a scalzare brevemente la campagna elettorale
dall’attenzione nazionale è stata la finale al cardiopalma fra i Cubs di
Chicago e gli Indians di Cleveland, un elettrizzante «game seven»
finito ai supplementari con la vittoria per un punto della squadra di
Chicago, che non vinceva le World Series dal 1908. Ma alla fine anche
l’eclatante evento sportivo è stato risucchiato nel vortice politico di
questi ultimi giorni convulsi e il baseball non è sfuggito alla forza
gravitazionale delle elezioni. Si dà il caso che la settimana scorsa,
quando i Cubs erano in svantaggio per 1-3 nella serie al meglio di sette
partite, Nate Silver avesse accostato le loro probabilità di rimonta a
quelle di un successo elettorale per Donald Trump. Così è riuscito a
rovinare la festa a molti tifosi democratici, che accanto al trionfo dei
propri beniamini si è trovata poco scaramanticamente preconizzata la
vittoria della nemesi politica.
Anche lo stesso Silver, massimo
oracolo statistico, con un’invidiabile percentuale di gare azzeccate,
d’altronde ammette che la sondaggistica è al massimo una scienza
inesatta, tantopiù in questo anno caratterizzato da una «ribellione»”
populista ostile a stampa e demoscopisti e ingerenze esterne come quelle
di Wikileaks e dell’Fbi.
In assenza di affidabili pronostici il
risultato rischia di essere plasmato da paure e emotività – come ben
sanno gli stessi strateghi delle campagne. Le ultime bordate di spot
elettorali che ingorgano l’etere americano in questi ultimi giorni
tralasciano ormai ogni argomento politico a favore di appelli viscerali.
Trump batte sulla «corruzione» della avversaria dipinta come donna di
casta, fautrice di un potere dinastico predicato su illeciti seriali e
patologiche menzogne. Gli appelli di Hillary per la maggiore sono
stralci di discorsi ed interviste delle stesso Trump che si esprime su
donne, eterodotati, stranieri ed immigranti, montati con controcampi –
soprattutto di bambini, che ascoltano le affermazioni con l’espressione
di cavie da laboratorio esposte a sostanze tossiche.
I democratici
sembrano aver calcolato – probabilmente non a torto – che la migliore
motivazione per le rimanenti esigue scorte di elettori indecisi sia la
paura e, a poche ore dall’apertura dei seggi, la visualizzazione di una
presidenza Trump. La strategia è evidente in un piccolo capolavoro di
persuasione «social», il video Youtube per scuotere le schiere di
millennial ed ex-sostenitori sanderisti ancora restii a marcare la
scheda Clinton. Il filmato di cinque minuti circa è interpretato da
James Carville, decano degli advisor democratici, architetto delle
vittorie di Bill Clinton negli anni 90 e ospite fisso dei talk show come
analista. Nel video, Carville si rivolge ad un gruppo di ragazzi che lo
fissano intenti mentre lui dice con aria professoriale di averli
convocati per spiegare che le elezioni «hanno conseguenze» precise.
«Immaginate di accendere il televisore martedì sera», esordisce Carville
col suo forte accento della Louisiana. «Ecco cosa potreste vedere».
Lo
one-man show prosegue con una geniale micro-fiction di fantapoliticia
degna di un episodio di Black Mirror, un mini sceneggiato in cui
Carville interpreta tutte le parti, a partire dal mezzobusto di un
edizione speciale delle news….: «Scusate… prego la regia di ripassare la
linea allo studio perché abbiamo un notizia appena arrivata …la Cbc è
in grado di confermare che stando agli exit poll, Donald J Trump si è
aggiudicato l’Ohio. Ripeto: l’Ohio coi suoi 19 voti elettorali vanno ai
repubblicani che raggiungono così 271 voti e con questo possiamo
proiettare ufficialmente che Donald J Trump sarà il nuovo presidente
degli Stati Uniti…».
Nella diretta immaginaria seguono una serie
di collegamenti, con lo stesso Carvile nei panni di se stesso, che non
riesce a capacitarsi dell’accaduto ed è costretto ad ammettere che
probabilmente i democratici «hanno dato per scontato il risultato e non
sono riusciti mobilitare i ragazzi di Sanders». Un altro
‘corrispondente’ (sempre Carville) spiega le prossime tappe che
attendono il paese: nomina immediata di un giudice reazionario alla
corte suprema che con maggioranza conservatrice abolisce aborto e
matrimoni gay. Costituzione di reparti speciali per la deportazione e
primi rastrellamenti nei quartieri messicani «entro l’estate».
L’immediata sospensione della sanità pubblica e poi sul fronte estero
annullamento dei trattati internazionali di commercio e di norme
ambientali, a partire dagli accordi di Parigi. Annuncio della
fuoriuscita dell’America dalla Nato.
Tutta la distopia di un
tiranno autoritario e imprevedibile oscillante fra isolazionismo,
militarismo e un neoreaganismo improvvisato.
Dulcis in fundo:
Carville imita il corrispondente da Mosca che racconta trafelato della
celebrazione di Putin che, acclamato dalla folla nella Piazza Rossa,
esulta e annuncia il risorgere di un impero russo, ormai senza più
nemici, mentre crollano i mercati internazionali. Chiusura con stacco
sulle facce sbigottite dei giovani e conclusione di Carville: auguri per
una buona notte! Infine dissolvenza a nero nella speranza che almeno
l’angoscia possa indurre gli ultimi americani a votare Hillary.