Il Sole 2.11.16
Tra eredità e Bruxelles distratta
Perché soffia a Est il vento populista
di Valerio Castronovo
Che
cosa c’è al fondo dell’ondata di nazional-populismo che ha preso il
sopravvento nella maggior parte dei paesi dell’Europa centro-orientale?
Ancor prima che i loro attuali governi erigessero una cintura di muri e
reticolati alle proprie frontiere contro gli immigrati, diversi motivi
hanno concorso alle fortune politiche dei movimenti d’impronta
nazionalistica.
Innanzitutto era rimasto nei paesi dell’Est un
grumo di risentimenti per un’anticamera, lunga dieci anni, prima di
venire ammessi nel 2004 nella Comunità europea (anche se intanto avevano
beneficiato dei fondi strutturali europei e di altre forme d’aiuto,
essenziali per le loro fragili economie). D’altra parte l’allargamento
delle frontiere della Ue era avvenuto soprattutto per l’esigenza di
evitare che alla lunga si creasse a Est una situazione di pericolosa
instabilità politica, senza peraltro che questo passo fosse stato
preparato convenientemente da una fase di “approfondimento” (come
consigliava Jacques Delors e prevedeva il Trattato di Lisbona) in cui
venissero messe a punto adeguate riforme nella governance della Ue. Col
risultato che sarebbero poi emerse in piena luce le difficoltà, dovute a
forti differenze di ordine strutturale, che rendevano particolarmente
accidentato il processo d’integrazione dei nuovi partner. Fu anche per
questo che al loro interno si diffuse la sindrome di essere dei paesi di
seconda o terza fila nell’ambito della Ue. Ciò che contribuì alla
riscoperta, in chiave autoreferenziale e nazionalistica, di determinati
tratti identitari etnico-religiosi e retaggi storico-culturali mai
dissoltisi del tutto durante i regimi comunisti e adesso
strumentalizzati politicamente dall’ultradestra.
S’era dunque già
diffuso un clima segnato da fermenti ed empiti nazionalistici quando
sopraggiunse l’emergenza immigrazione. Sta di fatto che, pressoché in
contemporanea con l’accordo siglato a Bruxelles ai primi di ottobre del
2015 per una redistribuzione entro la fine dell’anno di 100 mila
profughi, in Polonia il partito ultraconservatore di Jaroslaw Kaczynski
riportò nelle elezioni una straripante vittoria su quello liberale di
centro del presidente in carica del Consiglio europeo Donald Tusk e
polverizzò pressoché tutti quelli di centro-sinistra. Questo suo exploit
non fu dovuto a una situazione di malessere economico (in quanto era in
corso da otto anni un processo di sviluppo ininterrotto) ma, appunto, a
motivi di carattere prettamente nazionalistico a cui i polacchi erano
d’altronde estremamente sensibili: da un lato, la diffidenza viscerale
di sempre nei confronti della Russia, ulteriormente accresciutasi dopo
l’annessione della Crimea, e quindi a una domanda di sicurezza,
assicurata di fatto dagli Usa; dall’altro, un’insofferenza non più
latente per la posizione preminente della Germania, nei cui confronti la
Polonia intendeva far valere le sue prerogative di principale potenza
regionale nell’Est europeo. D’altronde a Varsavia non s’erano mai
scordati che un tempo appartenevano all’area d’influenza polacca
l’Ucraina, la Galizia e le regioni del Baltico.
A moventi
frondisti verso Bruxelles sostanzialmente analoghi si doveva il trionfo
del Fidesz, il partito nazional-populista di Viktor Orbán in Ungheria
nelle elezioni del 2010 con quasi il 68 per cento dei suffragi,
replicato due anni dopo all’insegna di un indirizzo spiccatamente
conservator-autoritario. A non contare il successo ottenuto da un gruppo
ancor più oltranzista, con nostalgie asburgiche e di tendenze
neonaziste, come Jobbik. Se nella Repubblica Ceca il partito
conservatore euroscettico di Petr Fiala ha cominciato a far sentire la
sua voce, e se in Slovacchia il principale partito della destra
conservatrice si è piazzato solo al terzo posto nelle elezioni del 2012,
invece in Crozia la “Coalizione patriottica”, guidata dal partito
nazional-conservatore dell’ex capo dei servizi segreti Tomislav
Karamarko, ha ottenuto nel 2013 la maggioranza dei seggi distanziando lo
schieramento di centro-sinistra e poi vinto (con Andrej Plenkovic)
anche le recenti elezioni anticipate di settembre. Né mancano a Zagabria
quanti vorrebbero riabilitare gli “ustascia” di Ante Pavelic, alla
guida dello Stato croato sorto nel 1941 sotto l’egida dei nazifascisti.
Il modo con cui il nazismo è stato spiegato nella Ddr, come frutto
essenzialmente dell’imperialismo, ha lasciato tuttora il segno nelle
regioni orientali della Germania dove stanno diffondendosi nazionalismo e
xenofobia. Ma se in vari paesi dell’Est il nazionalismo, accoppiato al
populismo, è oggi prorompente, va detto che i vertici della Ue non si
sono resi conto per tempo del fatto che costituiva un carburante
politico altamente infiammabile. E ciò a causa di una navigazione di
piccolo cabotaggio e della carenza di una visione lungimirante da parte
di Bruxelles.