Il Sole 2.11.16
Trump sorpassa Clinton ma per il New York Times evase il Fisco
di Marco Valsania
I
suoi contabili e avvocati l’avevano avvertito che il fisco non
l’avrebbe fatta passare liscia. Ricevere crediti e sconti per aver perso
soldi, tanti soldi, di altri era discutibile eticamente e soprattutto
di dubbia regolarità. Eppure questo ha fatto Donald Trump, aggiungendo
oggi un nuovo, potenziale scandalo al susseguirsi di shock nella
campagna elettorale americana.
Le rivelazioni, frutto di
un’inchiesta del New York Times, mettono in dubbio l’asserzione del
candidato repubblicano di aver semplicemente usato comuni e legittime
scappatoie per non pagare imposte per anni. In realtà avrebbe invece
nascosto centinaia di milioni di dollari di reddito. Una manovra
ultra-aggressiva eseguita nel periodo nero del magnate, quando negli
anni Novanta il suo impero immobiliare e di casinò era sull’orlo della
bancarotta.
Trump, si sapeva, ha dichiarato perdite per 916
milioni che gli sono servite per evitare altrettante tasse federali
durante forse 18 anni. Quel che non era finora noto è che il magnate
aveva contemporaneamente ottenuto dai creditori, banche e investitori,
la cancellazione di debiti per svariate centinaia di milioni, un
maxi-sconto che sarebbe stato tenuto a riportare - e non lo ha fatto -
come reddito. Il perdono avrebbe cancellato le deduzioni legate alle
perdite.
La legislazione di allora, ammettono gli esperti
interpellati dal Times, era ambigua e sarebbe stata chiarita solo
successivamente per rendere illegali simili manovre. Trump, stando alla
corrispondenza venuta ora alla luce, avrebeb tuttavia più che
interpretato liberamente, coscientemente stravolto le norme. Le accuse
lo raggiungono in un momento cruciale: sta tentando un sorpasso in
extremis sulla favorita Hillary Clinton, approfittando del nuovo
scivolone della rivale democratica per la Casa Bianca su un altro
scandalo, quello delle e-mail. L’Fbi sta passando al setaccio con
speciali software ben 650mila nuovi messaggi di posta elettronica
rinvenuti in un computer condiviso dalla collaboratrice di Clinton, Huma
Abedin, con il marito, l’ex deputato Anthony Weiner travolto da un caso
di “sexting”. Abbastanza da tenere alto lo spettro di irregolarità se
non di reati nella gestione di corrispondenza segreta o comunque
delicata, che risale a quando era Segretario di Stato, alla vigilia del
voto dell’8 novembre.
Perché la notte del voto aspettiamo la Florida
Un
sondaggio quotidiano di Abc-Washington Post ha visto ieri Trump avanti
di un punto su Clinton, 46% a 45%, per la prima volta da maggio,
nonostante la media delle poll più recenti dia ancora a Clinton in
vantaggio di quattro punti. Il nuovo caso delle e-mail l’ha messa sulla
difensiva, erodendo l’entusiasmo dei suoi sostenitori e mettendo in
dubbio speranze democratiche di conquistare Stati incerti quali Ohio e
Iowa come maggioranze al Congresso. Segno della mappa elettorale tuttora
aperta, nelle ultime ore Trump si è spinto in Wisconsin, Clinton in
Florida.
Le polemiche hanno anche sollevato l’incubo, qualora
Hillary vincesse, di anni di inchieste parlamentari sul suo operato, una
riedizione delle battaglie legali che azzopparono la presidenza del
marito Bill Clinton. L’intervento dell’Fbi ha reso di sicuro
incandescente il clima all’interno delle istituzioni americane, con il
direttore James Comey accusato di imitare il più noto e discusso leader
dell’agenzia, Edgar J. Hoover, l’ultimo a essere attaccato per l’uso
esplicitamente politico degli agenti (contro il movimento dei diritti
civili e prima ancora contro il democratico Harry Truman). Le differenze
sono profonde: Hoover manovrava dietro le quinte mentre Comey, un
repubblicano scelto da Barack Obama, sembra semmai aver peccato di
irresponsabilità, di violazioni di norme interne che proibiscono il
rilascio di materiali controversi a meno di 60 giorni dalle elezioni. Le
dure polemiche testimoniano però il clima avvelenato nel quale
l’America andrà alle urne.