martedì 29 novembre 2016

Il Sole 29.11.16
L’«Europa delle patrie» di Orban e Kaczynski
Il patto stretto dai due leader nazionalisti sta mettendo a rischio i valori fondanti dell’Unione
di Luca Veronese


BUDAPEST e VARSAVIA Togliere di mezzo la retorica nazionalista serve a capire meglio le ragioni e gli obiettivi di Viktor Orban e Jaroslaw Kaczynski. Il premier ungherese e il leader polacco - diversissimi per carattere ma molto simili per visione politica e ambizioni – hanno stretto un patto che sta mettendo a rischio la struttura e i valori fondanti dell’Europa unita. «Orban - dice Robert Laszlo, analista politico dell’istituto Political capital di Budapest - rifiuta il modello stesso delle società occidentali che definisce con ironia liberali e decadenti, attacca ogni giorno i poteri forti che vogliono governare a casa nostra». Dopo aver costruito un muro al confine con la Serbia per bloccare i migranti il leader magiaro ha portato più di tre milioni di ungheresi a votare in un referendum di sfida all’Europa e alla sua politica di accoglienza. «I migranti invisibili servono a nascondere i problemi reali della gente. La propaganda martellante ha alimentato la paura degli ungheresi ed è usata dal governo per mantenere il consenso», dice ancora Laszlo.
Le barriere anti-migranti, le leggi xenofobe, l’accentramento del potere, l’aperta ostilità nei confronti dell’Occidente (da parte di due Paesi che fanno parte dell’Unione e della Nato), stanno risvegliando istinti e paure che si sperava fossero stati cancellati con la fine del secolo scorso.
Orban ha sbaragliato le opposizioni e, a modo suo, ha risollevato l’economia. Che tuttavia dipende ancora in modo decisivo dagli investimenti esteri e dai fondi europei. Non è riuscito ad alzare in modo apprezzabile gli standard di vita del Paese. Deve guardarsi solo da Jobbik, il movimento xenofobo che sta crescendo nel Paese, e per questo ingloba le proposte dell’estrema destra nel suo programma. In una preoccupante deriva antidemocratica. Gyongyosi Marton, numero due di Jobbik, lo spiega con chiarezza: «Voi non potete più scegliere, siete condannati a vivere in società multiculturali nelle quali l’integrazione ha portato solo problemi. Il nostro popolo - invece può ancora decidere con chi vuole convivere. E la grande maggioranza degli ungheresi è a favore di una società omogenea, senza immigrati, fondata sulle nostre tradizioni culturali e religiose». Inevitabile giungere a un’insanabile contrapposizione tra l’Europa e i leader di Budapest e Varsavia.
La Polonia di Kaczynski sta sperimentando una sorta di restaurazione che mette in discussione lo stesso Stato di diritto come ha fatto notare più volte la Commissione Ue. Kaczynski ha seguito Orban nella crociata contro i migranti, lo ha preso a modello nelle leggi sui media e nel limitare il potere della Corte Costituzionale. Il leader polacco – capo indiscusso del suo partito Diritto e Giustizia e quindi anche regista della scena politica polacca nonostante non abbia incarichi di governo – ha però superato «l’amico Orban» sui diritti civili, rispettando la sua devozione per la parte più bigotta della chiesa cattolica polacca.
Kaczynski ha ereditato un’economia in costante crescita da due decenni, mai in recessione anche negli anni della grande crisi internazionale, e tra le promesse sui sussidi alle famiglie e sulle pensioni, ha lanciato un ambizioso piano per rilanciare l’industria nazionale. Spiega Piero Cannas, ceo di Global Strategy e presidente della Camera di Commercio italiana in Polonia: «Sono in Polonia dal 1992 e di cambiamenti ne ho visti tanti. Anche oggi sembra che ci sia una svolta in politica e in economia ogni giorno. C’è comunque una stabilità di fondo che rassicura gli investitori internazionali e continua a rendere il Paese molto interessante per le imprese». Per Cannas, «i rischi maggiori per la stabilità vengono dallo scontro continuo con l’Unione europea. E certo se Kaczynski continuerà a dare fastidio, Bruxelles attraverso i fondi europei ha lo strumento di dissuasione per contrastarlo».
Nelle misure dei governi di Ungheria e Polonia c’è un misto di pragmatismo e interesse egoistico, di chiusura e restaurazione che porta a una sola domanda. Perché Orban e Kaczynski non escono dall’Unione? «Kaczynski è convinto di essere il futuro. È molto diverso da Orban, non vuole coinvolgere ma vuole isolarsi, pensa a una Polonia chiusa e protetta dal mondo corrotto. Orban non guarda in faccia a nessuno: era di centro e ora punta a destra, da europesista è diventato euroscettico a dir poco, era filoamericano e oggi abbraccia Vladimir Putin», dice Jacek Kucharczyk, presidente dell’Institute of public affairs, think tank indipendente di Varsavia. «Orban vuole trascinare l’Est nel suo progetto di leadership europea. Vuole l’Europa delle patrie. Vuole contare a Bruxelles», afferma Laszlo.
In economia, i critici dell’allargamento a Est ma anche molti osservatori indipendenti l’hanno definita strategia del bancomat: per i governi di Ungheria e Polonia in altri termini, l’Unione non è altro che uno sportello automatico dal quale prendere fondi indispensabili per sostenere lo sviluppo, senza tuttavia condividere in pieno i princìpi e le regole comunitarie. Tra il 2007 e il 2013 la Polonia ha ricevuto da Bruxelles (e ha poi utilizzato al meglio) circa 67 miliardi di euro, fino al 2020 potrà contare su altri 114 miliardi di euro, considerando i fondi di coesione e quelli destinati alle politiche agricole. L’Ungheria ha incassato fondi strutturali europei per un totale di circa 30 miliardi di euro e fino al 2020 dovrebbe utilizzarne altri 34 miliardi. Come potrebbero fare a meno del sostegno dell’Unione?
«Nonostante tutto, non credo che i governi riusciranno a danneggiare la crescita economica nell’Est europa. Ed è la crescita lo strumento per contrastare i populismi», dice Slawomir Majman, responsabile dell’agenzia polacca per gli investimenti con il precedente governo, oggi advisor di Pracodawcy RP, la confederazione delle imprese polacche, e senior advisor di Dentons. «La stabilità che hanno conquistato non dipende solo dai governi nazionali e credo comunque che anche in Polonia e Ungheria – spiega Majman – la democrazia abbia ancora la forza per guardare avanti».