Il Sole 28.11.16
Contratto statali alla strettoia dei fondi
Governo e sindacati cercano un’intesa: posizioni distanti sugli «85 euro», da rivedere le regole sui «premi»
di Gianni Trovati
A
infittire l’agenda politica della settimana che porta al referendum
costituzionale interviene anche il tentativo di accordo politico che
Governo e sindacati stanno provando a trovare sul rinnovo del contratto
degli statali. L’appuntamento è per mercoledì prossimo, quando al nuovo
incontro fra Esecutivo e sindacati si capiranno le prospettive per le
buste paga dei tre milioni di dipendenti pubblici: il Governo punta ad
arrivare all’intesa prima delle urne, anche per avere un altro argomento
da spendere negli ultimi giorni della contesa, ma per giungere al
traguardo ci sono due ostacoli da superare. O li si scavalca ora, o si
rimanda il tutto allo scenario che uscirà dal voto.
Il primo nodo,
ovviamente, è quello dei soldi, riassumibile nella parola d’ordine
degli «85 euro». La cifra, ha chiarito venerdì scorso il titolare
dell’Economia Pier Carlo Padoan ribadendo la linea già tracciata dalla
ministra per la Pa Marianna Madia, indica gli «aumenti medi a regime»,
cioè al 2018, ed è calcolata anche con l’obiettivo di non allontanare
troppo le dinamiche dei salari pubblici da quelle vissute con i rinnovi
nei principali comparti del privato. Per i sindacati, anche se con
articolazioni differenti nelle posizioni delle diverse sigle, gli 85
euro indicherebbero la base minima dei ritocchi. Un’ipotesi, questa, che
naturalmente complica la già difficile ricerca dei finanziamenti
necessari a tradurre in pratica queste indicazioni, anche perché rende
difficile calcolare in modo fondato l’entità stessa delle coperture
necessarie.
L’intenzione del governo, più volte ribadita dalla
stessa ministra Madia, è poi quella di concentrare gli aumenti sulle
fasce di reddito più basse, con una sorta di articolazione dei ritocchi
inversamente proporzionale ai livelli di retribuzione attuale. Un
meccanismo, quello ipotizzato dalla Funzione pubblica, che nell’ottica
del Governo “sfiderebbe” i sindacati a impegnarsi nella tutela dei
lavoratori deboli sul piano economico più che nella battaglia politica
con l’Esecutivo (nel mirino di questa riflessione governativa c’è
soprattutto la Cgil).
Oltre alla politica, però, c’è la
matematica, che solleva questioni non da poco. I fondi messi a
disposizione dalla legge di bilancio aprono per il prossimo anno a un
aumento medio intorno ai 40 euro, mentre per il 2018 i numeri sono
ancora tutti da chiarire perché dipendono anche dal costo del «riordino
delle carriere» promesso alle Forze dell’ordine e dal nuovo piano di
assunzioni nella Pa.
In questa fase, comunque, si tratterebbe di
mettere nero su bianco un accordo politico, un po’ come accaduto sulle
pensioni prima della manovra, in cui il Governo si impegna a trovare i
fondi per arrivare appunto agli 85 euro medi: impegno non da poco, visto
che per il 2018 Roma ha promesso all’Europa un aggiustamento
strutturale da 8,5 miliardi (cinque decimali di Pil) sui saldi di
finanza pubblica.
Sul tavolo ci sono poi le regole per la
distribuzione dei premi, oggi “congelate” dalle griglie rigide scritte
nel 2009 dalla riforma Brunetta e mai applicate. Qui le idee di
sindacati e Governo sembrano più vicine, perché entrambi puntano sulla
costruzione di regole più flessibili, evitando l’obbligo di azzerare del
tutto i “premi” per il 25% dei dipendenti, e sulla restituzione del
tema alla contrattazione, lasciando alla legge solo il compito di
fissare principi generali. Anche su questo punto, comunque, un conto
sono le intenzioni e un altro le regole: e le chance di successo di
questo passaggio dipendono anche da quanto è condivisa fra i soggetti al
tavolo la volontà di arrivare a un’intesa prima del referendum.