lunedì 28 novembre 2016

Corriere 28.11.16
La credibilità scientifica e i danni della malagiustizia
di Ilaria Capua

L’ indagine della Procura di Roma nota come «Trafficanti di virus», risalente a fatti accaduti tra il 1999 ed il 2008, si basa su 17.000 pagine di documentazione a sostegno. Sarà costata un’esagerazione in fotocopie, spese per il processo investigativo, trascrizione delle telefonate, analisi dei trascritti, costruzione (e mi si permetta di usare questo termine) di una realtà irreale, per sostenere un castello di accuse che è stato smontato pezzo per pezzo dalle due Procure italiane che sono entrate nel merito, e archiviate da una terza. Il costo di questa operazione però non è solo riferibile ai costi diretti, ma anche a quelli indiretti. Con me, altri si sono trovati catapultati in copertina di un settimanale, e di conseguenza si è parlato e scritto di noi su pagine e pagine di quotidiani nazionali e locali che ci hanno coperto di fango facendoci vergognare di camminare per strada. Obbligandoci a dover modificare la nostra vita personale e sociale perché ad ogni incontro conviviale ci si doveva attendere il «come va quella storia?», troppo ingombrante da evitare, troppo scomoda e dolorosa da affrontare senza lasciarti svuotata ed insonne.
Ma oltre a questi due aspetti c’è l’impatto devastante che ha provocato sulle strutture pubbliche coinvolte. Il dipartimento che dirigevo ha perso il suo direttore ed il suo vice, tutti e due andati all’estero. Dei 40 «precari della ricerca» pagati su fondi di ricerca perlopiù internazionali ne sono rimasti circa la metà. I ricercatori stranieri che avevo se ne sono andati, così come quelli non di ruolo con la maggiore esperienza e intraprendenza nel proprio campo. Il gruppo si è smembrato.
E al ministero della Salute? Il segretario generale sospeso per due anni, alti dirigenti ruotati ad altro incarico, stravolgendo un sistema che aveva dei punti saldi e gettandolo nel caos. Centinaia di pratiche e di dossier passati nelle mani di un novizio (per quell’argomento), il quale giustamente non vuole correre rischi di esporsi a critiche o magari ad altre indagini.
Ci sono strutture dello Stato che ci metteranno anni ed anni, e forse ci vorrà un ricambio generazionale a far tornare le cose a come erano il 4 aprile del 2014, data della pubblicazione dell’indagine «segreta». Il ministero della Salute è il punto di riferimento nazionale per le organizzazioni internazionali e per i partner commerciali stranieri per le nostre esportazioni di prodotti alimentari di origine animale. Chi opera con altri Paesi lo sa bene, la reputazione è tutto.
Molto rumore per nulla? No, non è così. Sezionando il caso come si farebbe in laboratorio, si intuiscono immediatamente quelle che sono le ramificazioni private di questo caso: oltre alla vita sconvolta dei 41 imputati e delle loro famiglie, ci sono molti rapporti personali che sono stati distrutti o stravolti. Pazienza, si dice. Mica tanto, direi.
Ma guardando gli aspetti che riguardano il versante pubblico, diciamo — sotto la luce a fluorescenza, quella che svela reazioni non visibili né a occhio nudo, né sotto la luce bianca —, si rivela un’Italia che accusa un’altra Italia di essere ladra e assassina. La fluorescenza trae spesso in inganno, e necessita di numerosi controlli altrimenti si prendono dei grandi abbagli. Chi la conosce lo sa.
E così, non sono state fatte le opportune verifiche, e — forti di una notizia di grande risonanza —, la si è sbandierata ai quattro venti e la stampa internazionale ha poi fatto il suo, mettendo al corrente di questo presunto orrore anche i nostri partner internazionali.
Si è riusciti magistralmente a far perdere di credibilità all’Italia due volte, la prima quando si è raccontato di una sanità pubblica indegna, e la seconda quando è emerso che il fatto non sussisteva.
È questo il costo più alto che l’Italia continua a pagare. Quello della credibilità. E la ricerca in campo biomedico e la sicurezza degli alimenti italiani, invece, ne avrebbero solo bisogno.