sabato 26 novembre 2016

Il Sole 26.11.16
Erdogan e la «bomba umana» del ricatto
di Alberto Negri

Il ricatto di Erdogan sui migranti arriva puntuale secondo un copione seguito da tutti i raìs mediorientali: può stupire soltanto i parlamentari europei, che evidentemente vivono in un mondo a parte.
E ai quali, nonostante gli attentati jihadisti, forse è arrivata soltanto un’eco lontana di 30 anni di guerre e destabilizzazione sotto casa. Il rappresentante di Bruxelles in Turchia due anni fa parlava ancora dell’Akp come di una sorta di democrazia cristiana islamica quando già era evidente, dopo i fatti di piazza Taksim, la deriva erdoganiana.
Nei documenti della diplomazia continentale si dice che la Turchia è una sorta di malato sotto osservazione ma si ammette di non avere nessuna idea sulla strategia di Erdogan. Eccola: è quella brutale di tutti gli autocrati mediorientali, restare al potere a ogni costo e se possibile diventare ancora più potente.
Erdogan, come ha dimostrato la vicenda della guerra per procura in Siria, è un giocatore d’azzardo e mette alla prova di che pasta sono fatti i suoi sprovveduti interlocutori: sapeva perfettamente che nel momento in cui si era impegnato con la Merkel a tenere due milioni di profughi siriani in casa si era procurato una delle armi più efficaci in circolazione, la bomba umana, che spaventa a morte gli europei, impegnati in critiche tornate elettorali. Questa non è una questione soltanto umanitaria ma bellica.
C’era da aspettarselo perché dopo essere uscito indenne dal fallito colpo di Stato del 15 luglio scorso, Erdogan è entrato di diritto nella galleria dei raìs: ha superato la prova della sopravvivenza vera, quella delle armi, ha attuato una repressione a tutto a campo, accompagnata soltanto da flebili proteste dell’Europa: consolidato il consenso della maggioranza conservatrice del Paese si prepara con la riforma costituzionale a rafforzare il suo potere autocratico. Se si entra nella testa del raìs, ma gli europei non sanno farlo, è evidente che si tratta di un leader pronto a tutto. Come userà realmente la bomba umana per ricattare gli europei è forse impossibile da decifrare.
Il ricatto è doppiamente pericoloso per due motivi. Il primo è che la Turchia è un Paese della Nato con 23 basi militari e armi nucleari tattiche. Il secondo, decisivo in questo momento, che è impegnata con le forze armate e le milizie sia in Siria che in Iraq in una fase fondamentale della battaglia contro il Califfato. Dal calderone mediorientale, dove ieri sono stati uccisi 4 militari turchi in un raid siriano, si può far uscire di tutto: profughi, jihadisti in fuga, terroristi di ogni risma.
Erdogan vuole partecipare alla liberazione di Raqqa, con la non troppo nascosta ambizione di mettere la mani sul territorio siriano per impedire l’autonomia dei curdi e si è piazzato a 12 chilometri da Mosul per unirsi all’assedio della roccaforte dell’Isis nonostante le proteste del governo di Baghdad. Sa quindi perfettamente cosa avviene dall’altra parte, movimenti dei profughi compresi.
Per consolidare le sue rivendicazioni è venuto a patti con Putin, scambiando il destino di curdi siriani alleati degli Usa con quello di Assad, si è messo d’accordo anche con Israele e tiene sulla corda gli Stati Uniti ai quali ha concesso la base di Incirlik per bombardare il Califfato soltanto dopo un anno e mezzo di trattative mettendo nero su bianco che per lui curdi e jihadisti sono sullo stesso piano.
Come si è arrivati a questa situazione deve essere ben chiaro. Erdogan ha usato la democrazia e l’Europa come un tram - sono parole sue - per scendere alla fermata che desiderava: far fuori la repubblica kemalista, i suoi generali e prendersi tutto il potere. Chi dice di non sapere o è un ipocrita o uno sciocco.
Sono stati gli americani e gli europei che hanno reso forte Erdogan nel momento in cui hanno cercato di manovrarlo. Gli Stati Uniti e l’ex segretario di Stato Hillary Clinton portano una responsabilità enorme. Washington nel 2011, inviando l’ambasciatore Ford tra i ribelli di Hama, ha dato il suo consenso per aprire “l’autostrada della Jihad” e per far passare dalla Turchia migliaia di miliziani islamici per abbattere Assad, alleato storico dell’Iran e di Mosca. Questa operazione è stata approvata dalla Francia, dalla Gran Bretagna e anche dall’Italia, scottata dalla perdita della Libia, si è accodata.
Nel 2013 quando Obama ha rinunciato a bombardare il regime baathista sono venuti a galla i problemi e l’ascesa del Califfato ha fatto il resto, accompagnata dagli attentati terroristici nel cuore dell’Europa. Erdogan sperava di eliminare Assad, di mettere la mani su Aleppo e Mosul e bastonare i curdi, Pkk compreso, usando i jihadisti con l’aiuto dei finanziamenti dei sauditi e qatarini: quando gli occidentali si sono tirati indietro si è infuriato, giocando la sua partita personale, migranti compresi.
Di fronte ai fatti l’Unione europea non ha una reale capacità di reazione. Non può sanzionare la Turchia perché il 50% del suo commercio e il 70% dei suoi debiti privati e dei prestiti sono con l’Europa, perché ci sono migliaia di imprese che lavorano lì e perché nessuno finora ha mai rinunciato a fare affari con Ankara. In sintesi così stanno le cose: dopo l’Iraq nel 2003, la Siria e la Libia nel 2011 adesso arriva il nodo della Turchia. Chi risolverà il problema? L’impressione è che in Turchia oltre all’Europa verrà presto messa alla prova anche la “dottrina Trump”.