Il Sole 26.11.16
Lo spread sfonda il tetto dei 190 punti
di Andrea Franceschi
Differenziale con il Bund ai livelli di maggio 2014 - Il Tesoro cancella le aste del 13 dicembre
Il
differenziale di rendimento tra il BTp decennale e il Bund di uguale
scadenza ha superato ieri la soglia di 190 punti come non accadeva da
maggio 2014.
Un segnale del crescente nervosismo con cui i mercati
si stanno preparando al referendum costituzionale del 4 dicembre in
Italia. Appuntamento che viene da più parti considerato un test sulla
vulnerabilità dei governi dell’Eurozona all’ondata anti-establishment
che ha caratterizzato il referendum sulla Brexit e le elezioni
americane.
La risalita dello spread è frutto soprattutto del
movimento dei tassi BTp che hanno superato quota 2,14% in mattinata. Con
l’apertura degli scambi oltreoceano, tuttavia, sono tornati gli
acquisti sia sui Bund che sui BTp in scia ai movimenti dei tassi
americani che, in controtendenza rispetto al trend rialzista che si è
visto dalle elezioni americane in poi, sono scesi in maniera
generalizzata. Questo ha fatto sì che sia lo spread sia il rendimento a
10 anni del Btp chiudessero la giornata di scambi lontani dai massimi,
rispettivamente a quota 185 punti e al 2,09 per cento.
Intanto la
generale risalita dei tassi sul mercato obbligazionario consolidatasi
dopo le elezioni americane ha fatto sentire i suoi effetti sul costo di
rifinanziamento del Tesoro sul mercato primario. Per la prima volta da
oltre un anno infatti i tassi in asta per il CTz a scadenza biennale si
sono riportati in territorio positivo. Nello specifico il tasso per i
3,5 miliardi di titoli collocati sul mercato primario si è attestato
allo 0,283 per cento. Sono stati assegnati anche titoli indicizzati
all’inflazione europea a 6 e 25 anni per un controvalore di 792 e 414
milioni di euro. L’asta di CTz in programma per il prossimo 13 dicembre
non si terrà, ha fatto sapere il Tesoro. Ufficialmente per ridotte
esigenze di finanziamento ma è probabile che lo Stato voglia evitare di
indebitarsi a costi più alti del previsto qualora, in caso di vittoria
del «no», i bond governativi dovessero finire nel mirino dei ribassisti.
È
comunque opinione comune tra gli addetti ai lavori che siano
soprattutto azioni e obbligazioni delle banche italiane a essere esposte
ad eventuali contraccolpi di mercato legati all’instabilità politica.
Questo anche perché, a differenza dei titoli di Stato, non c’è il
paracadute del Quantitative easing ad attenuare i colpi della
speculazione. Oltretutto ci sono seri timori che una eventuale vittoria
del «no» possa compromettere le delicate operazioni di rafforzamento
patrimoniale del Monte dei Paschi e di UniCredit. Anche ieri in Borsa il
settore ha sofferto soprattutto per la fortissima volatilità sul titolo
della banca senese che, al termine di una seduta caratterizzata da
ripetute sospensioni per eccesso di ribasso, ha chiuso in calo del 13,08
per cento. La performance di Piazza Affari che ieri ha chiuso poco
sopra la parità (+0,09%) è comunque in linea con quella di Francoforte
(+0,09%), Parigi (+0,17%) e Londra (+0,17%).
Nel complesso la
seduta è stata caratterizzata da volumi di scambio ridotti dopo la
chiusura di giovedì per il giorno del Ringraziamento. Con buona parte
degli operatori impegnati più con lo shopping da Blackfriday che con la
compravendita sui mercati finanziari, i listini americani hanno
registrato nuovi massimi storici su tutti e tre gli indici principali:
S&P 500, Dow Jones e Nasdaq.
Questo mentre su valute e
titoli di Stato si è assistito all’inversione del cosiddetto
«Tumpflation trade» (la scommessa sulla ripresa dell’inflazione che fa
risalire dollaro e tassi dei Treasury). Dopo aver toccato i massimi da
oltre 10 anni il biglietto verde ha così invertito la rotta rialzista.
Questo ha dato un po’ di ossigeno ai mercati emergenti che, in questo
contesto, sono l’anello debole della catena.