Il Sole 24.11.16
Gran Bretagna
Il prezzo del divorzio
di Leonardo Maisano
Due
punti e mezzo di Pil in meno nei prossimi 5 anni, 120 miliardi di
indebitamento in più di cui almeno 60 da imputare direttamente alla
Brexit. Madamina, il catalogo è questo, per il momento almeno. Catalogo
che esce dalla cauta manovra di un cauto cancelliere dello Scacchiere,
Philip Hammond.
Ben consapevole di muoversi
sul ciglio dell’ignoto, in quel territorio Comanche, per dirla con
Arturo Perez Reverte, che è e resta il mondo del dopo-Europa per le
isole britanniche.
Il duplice volto della
Brexit ha preso consistenza ieri nella straordinaria coincidenza della
prima finanziaria britannica giunta a cinque mesi esatti dal voto del 23
giugno, nel giorno della sentenza per l’omicidio di Jo Cox, la deputata
laburista assassinata da un ultranazionalista in odore di follia.
Thomas Mair, 53 anni, è stato riconosciuto colpevole e condannato
all’ergastolo negli stessi istanti in cui Philip Hammond sgranava il
rosario di una manovra al buio.
Il prezzo
della non Europa non s’esaurisce con la vita di una giovane donna
assassinata per aver sognato un Regno Unito aperto e senza confini
confermandosi, una volta di più, un azzardo mal calcolato. Lo si è letto
nelle parole del cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond che ha
firmato misure tampone e di riaffermata, moderata austerità per gestire
un contesto segnato da una sola certezza: Londra dovrà fare ricorso ad
almeno 122 miliardi di indebitamento imprevisto, prodotto per metà dal
referendum, volano di una forte caduta del tasso di crescita. Ha
ragione, il responsabile del Tesoro a sottolineare che quella britannica
resta fra le economie più sane dell’Unione nonostante l’addio a
Bruxelles, ma ha ragione soprattutto nel dire che il 23 giugno «è stata
presa una decisione destinata a cambiare il corso della storia
nazionale». Di cui, aggiungiamo, Londra, continua a non avere chiara
percezione. Non, almeno, delle conseguenze che comporta. Theresa May sta
dando dimostrazione di straordinario cerchiobottismo usando toni
diversi a seconda dell’interlucutore che incontra: aspra verso l'Ue con i
ranghi del suo partito euroscettico, accomodante con gli imprenditori
che al destino europeo del Regno guardano con speranza. Mentre i suoi
ministri non smettono di impegnarsi “in good cop bad cop”, il giochino
del poliziotto buono e di quello cattivo. Il caos creato dall’incertezza
strategica e dalla confusione tattica avanza e questa finanziaria ha
aggiunto poco per definire l’indirizzo economico, il profilo del Paese
che verrà.
Comprendiamo che svelare tutte le
carte prima di accomodarsi al tavolo della trattativa possa indebolire
la Gran Bretagna nel negoziato con l’Unione europea, ma resta
incomprensibile l’insistenza cocciuta su quell’equazione impossibile che
è – a nostro avviso la pretesa di restare nel mercato interno
garantendosi tutele dalla libera circolazione del lavoratori. A cinque
mesi dal voto di giugno il mantra di Londra è sempre lo stesso:
spacchettare le libertà del single market per consentire a un partner
riluttante di andarsene con quanto di meglio offre la maison. Tutto è
possibile, ma francamente ci auguriamo che questo sia impossibile. Solo
la fermezza delle capitali Ue potrà mettere fine a una linea d’azione
che non sembra andare da nessuna parte, generando crescente incertezza e
rischiando, in ultima analisi, di spianare la strada a manovre future.
Assai più dolorose, crediamo, dei pannicelli tiepidi che Philip Hammond
ha offerto al Paese.