Il Sole 1.11.16
Elezioni Usa
La «nebulosa» estremista che vota Trump
di Marco Valsania
«Siamo
al momento decisivo. Me lo sento, se non eleggiamo Trump, se non ci
facciamo ascoltare, ci sarà un collasso finanziario, una guerra
mondiale, un terzo della popolazione verrà uccisa».
La battaglia
tra Donald Trump – l’allarme apocalittico è di un suo sostenitore – e
Hillary Clinton è porta a porta e senza risparmio di colpi. In gioco la
cattura degli elettori nelle regioni incerte. Già 22 milioni hanno
scelto, un quarto del totale in Stati cruciali quali Colorado, Florida e
Nevada. Un corpo a corpo che mobilita gli eserciti più fedeli ai
candidati. E se l’armata di Hillary ha già dato prova di sé, quella di
Trump ha contorni inediti, labili e controversi, supplendo alla cautela
dell’apparato conservatore con gli entusiasmi della nuova destra e il
disagio o la rabbia di ceti popolari bianchi. Sarà dalla tenuta e
ampliamento o meno di questa tumultuosa coalizione, rinvigorita oggi
dagli scandali di Hillary, che dipenderà qualunque riscossa di Trump ai
seggi.
Lo spettro dei disastri in caso di sconfitta di Trump è
stato evocato di recente da Alex Jones, texano 42enne, gran teorico di
complotti e tribuno di una nebulosa estremista definita Alt Right, la
destra alternativa e radicale americana. Una nebulosa che, per scelta o
per caso, ha trovato voce nella campagna di Trump. Quello stesso spettro
della terza guerra mondiale è stato citato dal magnate immobiliare se
venisse eletta Clinton. Al movimento possono essere ascritti altre
crociate diffuse tra i sostenitori di Trump: dai “birthers”, che
sospettano Barack Obama non sia americano, all’intransigenza pro-armi,
fino a chi crede che il massacro nella scuola di Newtown sia stato una
messa in scena dei nemici del Secondo emendamento. È un crogiuolo di
tematiche che ha aiutato Trump a rivolgersi a quella che ha identificato
come la sua vera base elettorale, la “working class” bianca, i ceti
medi e bassi, spesso emarginati dalla politica oltre che dall’economia e
da decenni in fuga ormai dai democratici. Negli anni 60 era il partito
di Hillary a ottenere il 55% dei loro consensi, poi crollati al 35%,
risaliti al 41% con Bill Clinton e nuovamente scesi al 36% con Obama nel
2012. L’esito di sommovimenti sociali e politici: i democratici che
sposano diritti delle minoranze e coalizioni multiculturali; i
repubblicani che si fanno difensori di valori tradizionali; l’erosione
del sindacato; e ciò che leader della sinistra come Robert Reich e
Thomas Frank chiamano il “tradimento” dell’adesione a dottrine di
liberalizzazione combinata con l’incapacità di parlarne la lingua. Trump
si è gettato in questo vuoto, anche se è un paladino discutibile. Tra i
suoi limiti c’è proprio l’abbraccio soffocante della destra radicale.
Trump, fin dall’inizio, ha faticato a sconfessare simili compagni di
strada, compreso David Duke, l’ex leader del Ku Klux Klan. Atteggiamenti
che minacciano di alienare almeno una parte di questo stesso elettorato
popolare. In particolare le donne stanno prendendo le distanze: Trump
domina Clinton di ben 43 punti tra gli uomini bianchi senza laurea, ma
nell’identico elettorato femminile, il 55% di questi potenziali votanti,
Hillary corre quasi alla pari.
La Alt Right è fatta di anonime
“sturmtruppen” e chat digitali come anche di leader di gruppi
neonazisti, think tank anti-semiti e filosofi della discriminazione
scientifica. Il Breitbart News Network non ne è immune: l’ex presidente
Steve Bannon, oggi chief executive della campagna di Trump, aveva
definito la sua rete come la vera “piattaforma” dell’Alt Right. E il suo
technology editor Milo Yiannopoulos – 33enne britannico, gay dichiarato
e gusto per lo shock – ha composto quest’anno l’articolo che ha
“sdoganato” la destra alternativa, ispirata più dalla sfida
all’establishment e alla “correttezza politica” che a ideologie. Ma i
critici segnalano fenomeni ben più oscuri. Gli attacchi antisemiti che
invocano il nome di Trump sono in brusco aumento: 800 giornalisti sono
stati oggetto di persecuzioni online, con minacce o il volto
giustapposto a vittime dei campi di concentramento. Trump non ha creato
questa miscela che minaccia sconquassi nelle urne. È stata piuttosto la
crisi del partito repubblicano a dare spazio a Trump e alla Alt Right
nel nome di un nuovo populismo di destra. Da sempre il populismo
americano ha mostrato anime progressiste e oscurantiste alle quali
attingere. Nel primo caso, a fine ‘800, il People’s Party dei piccoli
agricoltori, seguito dal sindacato della confederazione Afl durante il
New Deal. Una tradizione che spesso ha fatto da filtro a spinte più
radicali di rivolta dal basso verso l’alto, con apici recenti nella
candidatura del leader dei diritti civili Jesse Jackson nel 1988 e
quest’anno del “socialdemocratico” Bernie Sanders. Diverso è il
populismo conservatore, illustrato da John Judis nella Populist
Explosion, che all’estremo idealizza un popolo bianco usurpato da una
malsana alleanza tra elite e masse tacciate di inferiorità, dagli
immigrati a minoranze etniche e religiose. Si insedia nel Sud con il
governatore democratico dell’Alabama George Wallace (“segregazione oggi,
domani e sempre”) e approda ai repubblicani che conquistano la regione
con la regia della “strategia meridionale” di Richard Nixon. I
progenitori più diretti di Trump sono leader repubblicani degli anni
Novanta quali Pat Buchanan, il primo a proporre a un muro contro
immigrati. Un decennio più tardi esplodono i Tea Party, commistione di
valori religiosi e sociali ultra-conservatori, esprimendo la candidata
alla vicepresidenza Sarah Palin.
Trump sta scrivendo un nuovo
capitolo di questa storia appoggiandosi – anche – agli arsenali di una
Alt Right che oggi può vantare persino un’ala di sicurezza nazionale,
incarnata dall’ex generale e direttore dei servizi segreti delle Forze
Armate Michael Flynn. Una destra che fa ampio uso dei nuovi strumenti di
social media, inclusi siti quali Reddit e Twitter. Ma i cui ideali sono
spesso antichi. Ci sono gli “scienziati”, che riconducono al Dna le
differenze razziali e celebrano la superiorità dell’identità bianca. I
Neoreazionari e Archeofuturisti, ispirati dall’ordine del mondo che fu.
Nonché nazionalisti bianchi e seguaci della “manosphere”, che idealizza
il Maschio Alfa. Il loro punto di raccolta si trova in Jared Taylor e
Richard Spencer, fondatori del National Policy Institute. Spencer
organizza conferenze a Washington, l’ultima in marzo dedicata alla nuova
Identity Politics della destra. Ma giacca e cravatta non possono
esorcizzare le identità più inquietanti, l’antisemitismo dell’ex
professore universitario Kevin McDonald o il neonazismo del Daily
Stormer di Andrew Anglin. Per non citare i cosiddetti 1488ers, 14 come
le parole dello slogan «Dobbiamo assicurare l’esistenza del nostro
popolo e un futuro per i bambini bianchi»; 88 come due volte l’ottava
lettera dell’alfabeto – H – per Heil Hitler.