martedì 1 novembre 2016

il manifesto 1.11.16
«Alternative Right», la nuova destra che corre con Trump
Stati Uniti. La campagna del tycoon, molto attiva sui social, ha più volte fatto eco alle posizioni dell’Alt-Right, segnate da una aperta islamofobia, dall’elogio dei ruoli di genere tradizionali, dalla denuncia della minaccia che graverebbe sulla civiltà occidentale anche per effetto dei flussi migratori e che arriva, nelle sue punte più estreme, a parlare di un «genocidio dei bianchi», oltre a criticare pesantemente il politicamente corretto
di Guido Caldiron

Quale che sia l’esito del voto dell’8 novembre, la candidatura di Donald Trump un primo risultato lo ha già prodotto: quello di far emergere le contraddizioni che albergano nel campo repubblicano e di offrire visibilità alla nuova destra statunitense. Più per opportunismo che per convinzione ideologica, il miliardario newyorkese ha infatti pescato a più riprese tra le parole d’ordine di quel circuito estremista, composto prevalentemente da blog, testate online e sedicenti think-tank che da alcuni anni va sotto il nome di Alternative-Right.
Una tendenza che rappresenta per molti versi la più importante corrente politico-culturale emersa ai margini dello schieramento conservatore dopo il ridimensionamento dei neocon che avevano influenzato la presidenza di George W. Bush e la guerra globale. Per quanto legata soprattutto ad un circuito di giovani frequentatori della rete, l’Alt-Right si situa in realtà ad un crocevia ideale tra le tendenze del cosiddetto paleoconservatismo che, messo in minoranza nei vertici del Partito Repubblicano fin dalla sfortunata corsa presidenziale del senatore dell’Arizona Barry Goldwater nel 1964, ha continuato ad alimentare una parte della base del Grand Old Party fino ad oggi, e le tendenze identitarie, xenofobe e neoreazionarie emerse soprattutto in Europa nel corso degli ultimi decenni.
Se Goldwater incarnava, in un clima ancora caratterizzato prima di tutto dall’anticomunismo, una posizione di difesa della supremazia bianca nel pieno dell’era dei diritti civili, ostile all’immigrazione e al libero scambio, per molti versi affine a quanto affermato ora da Trump, tra gli adepti della «destra alternativa» circolano abitualmente le opere degli autori che più hanno influenzato le ultime generazioni del radicalismo di destra a partire dal Vecchio Continente: dai protagonisti della Nouvelle Droite transalpina Guillaume Faye e Alain de Benoist, fino al russo Alexander Dugin, ideologo dell’eurasiatismo e già consigliere di Putin.
Prima di emergere come un’area a sé stante, ma non estranea agli ambienti repubblicani, il circuito degli eredi di Goldawater si è a lungo riconosciuto nella figura di Pat Buchanan, candidato alle primarie del Gop negli anni Novanta in contrapposizione, su una linea isolazionista in politica estera, neonativista in materia di immigrazione e pronta ad inseguire ogni sorta di tesi complottista che si trattasse dei processi di globalizzazione come dell’11 settembre, con l’establishment del partito all’epoca guidato da Bush padre, già capo della Cia.
Sarà proprio una delle figure di punta degli ambienti paleoconservatori, l’universitario Paul Gottfried a parlare per la prima volta nel 2008, non a caso lo stesso anno della morte di William F. Buckley, il fondatore della National Review e a lungo sorta di bussola intellettuale della destra statunitense in grado di mantenere un equilibrio tra le sue diverse componenti, della nascita di una «alternative right» in grado di assicurare il predominio alla tendenza più squisitamente nazionalista di questo ambiente. La vittoria di Trump alle primarie repubblicane va inserita anche in questo contesto.
La campagna del tycoon, molto attiva sui social, ha più volte fatto eco alle posizioni dell’Alt-Right, segnate da una aperta islamofobia, dall’elogio dei ruoli di genere tradizionali, dalla denuncia della minaccia che graverebbe sulla civiltà occidentale anche per effetto dei flussi migratori e che arriva, nelle sue punte più estreme, a parlare di un «genocidio dei bianchi», oltre a criticare pesantemente il politicamente corretto.
Trump ha scelto Stephen Bannon, già direttore del sito-faro di questa tendenza, il Breitbart News, come proprio stratega in quest’ultima fase della corsa alla Casa Bianca. Allo stesso modo, le figure più note della «destra alternativa», dal blogger Milo Yiannopoulos allo scrittore Richard Spencer, fino ai giornalisti Steve Sailer e Jared Taylor, hanno schierato le forze di cui dispongono in rete e sui social, in grado di raggiungere un pubblico vastissimo in cui coabitano elettori repubblicani e suprematisti bianchi, a favore di The Donald con la promessa che, in ogni caso, «nulla resterà come prima dopo queste elezioni».