sabato 19 novembre 2016

Il Sole 19.11.16
Moneta elettronica, Italia indietro
Il gap genera un mancato gettito nelle casse dello Stato per 25 miliardi l’anno
di Francesco Prisco

L’infrastruttura c’è, la “cultura” non ancora. La sensibilità al tema avanza, ma siamo ancora indietro rispetto alla media europea, per non parlare degli Stati scandinavi, i primi della classe nel Vecchio continente. L’Italia ha ancora tanta strada da compiere in tema di pagamenti elettronici.
Lo rivela l’Osservatorio mobile payment & innovation del Politecnico di Milano che monitora costantemente l’avanzata degli strumenti innovativi di trasferimento di denato tra esercizi e consumatori dello Stivale. Su versante dell’“hardware” a quanto pare ci siamo: qui da noi si contano per esempio 32mila pos per milione di abitanti, contro i 23mila della media Ue. Sul versante del possesso delle carte elettroniche siamo leggermente indietro, ma niente di eccessivamente preoccupante: in Europa si contano 1,9 carte per abitante, in Italia 1,7. Il problema, semmai, è l’utilizzo di questi strumenti. L’anno scorso infatti il “transato” per via elettronica si è attestato a quota 174,7 miliardi, tra nuove forme di pagamento (21,3 miliardi) e vecchie (153 miliardi). Siamo cioè appena al 22% del valore complessivo dei consumi. Per l’anno in corso l’Osservatorio del Politecnico stima una crescita del ricorso ai pagamenti elettronici tra l’8 e il 12 per cento. Una spinta in avanti che tuttavia, stando all’analisi dell’ateneo milanese, va interpretata con la crescita degli acquisti in e-commerce, territorio nel quale le transazioni elettroniche sono l’unica modalità ammessa. Nel Bel Paese ciascun consumatore fa 44 operazioni l’anno. Meno della metà del dato europeo (100). Performance lontanissima da quella di Danimarca e Svezia, Paesi leader del continenti che registrano circa 300 pagamenti elettronici in media nell’arco dei dodici mesi. «Il ritardo dell’Italia – commenta Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio del Politecnico – rimanda innanzitutto a un problema culturale. Da un lato non c’è corretta percezione del fatto che il contante rappresenti un “costo” per tutti. Costa allo Stato, costa trasportarlo, in più alimenta la micro-criminalità esponendo i commercianti a furti e rapine. Dall’altro c’è chi usa il contante per schermare operazioni in nero. Al contrario, le operazioni condotte mediante carta e pos sono tutte tracciate ed è impossibile nasconderle al fisco».
Il ritardo dell’Italia sui pagamenti digitali si stima che generi, infatti, un mancato gettito per le casse dello Stato pari a qualcosa come 25 miliardi l’anno. Il legislatore, in ogni caso, non resta a guardare. La digitalizzazione del contante figura tra gli obiettivi dell’Agenda Digitale, piano di investimenti che ammonta, per la parte pubblica, a quota 10,6 miliardi dal 2014 al 2020, ossia 1,51 miliardi l’anno. Tali investimenti possono essere sostenuti impiegando risorse europee (stimabili in 1,65 miliardi l'anno) a patto che la nostra capacità di intercettare e utilizzare tali risorse sia tempestiva ed efficace. Per colmare il gap con l’Europa e rispondere alle direttive della Commissione europea nonché agli obiettivi dell’Agenda Digitale, tutte le parti, siano esse pubbliche o private, sono chiamate a promuovere le nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione per favorire l’amministrazione digitale, la fatturazione elettronica e l’identità digitale. Le imprese bancarie italiane stanno investendo da anni per la creazione di soluzioni a supporto dell’azione del Governo e, più in generale, del rilancio della competitività nazionale per la creazione dell’Italia digitale: tra questi i progetti per la dematerializzazione e l’efficientamento dei processi aziendali. In questo senso si sta muovendo il Consorzio Cbi che gestisce l’infrastruttura tecnica che interconnette circa 560 istituti finanziari e permette lo scambio di flussi finanziari, informativi e documentali, attraverso il colloquio telematico tra gli istituti stessi e la propria clientela (circa un milione, tra imprese, pa e privati). «La costante ricerca del consorzio – spiega Liliana Fratini Passi, dg di Cbi - per garantire a cittadini, imprese e Pa servizi transazionali sempre più efficienti ed evoluti ha portato a indagare nuove modalità per il pagamento dei conti spesa attraverso l’implementazione del servizio Cbill che consente ai cittadini la consultazione e il pagamento delle bollette (utenze, ticket sanitari, multe, tasse e altro ancora) in modalità multibanca e multicanale (tablet, smartphone, Atm e sportello fisico). In questo caso siamo partiti dalla considerazione che in Italia i pagamenti vengono effettuati prevalentemente attraverso il contante con tutti i limiti che ne conseguono, sia per i clienti utilizzatori che per le aziende fatturatrici. Quindi abbiamo lavorato sulle leve per favorire il passaggio del cliente da spettatore passivo a soggetto attivo nella fruizione di servizi finanziari in modalità multicanale». Cbill, offerto dagli istituti finanziari consorziati, a partire dal lancio ufficiale, avvenuto il primo luglio 2014, ha attivato circa 350 fatturatori tra privati e pa e registrato oltre 4 milioni di operazioni totali inizializzate, quasi esclusivamente su canale web, per un controvalore complessivo di oltre 850 milioni. «Dopo i buoni risultati ottenuti – aggiunge il dg - ci siamo anche impegnati in una specifica campagna di comunicazione verso le aziende e i cittadini con l’obiettivo di accrescere la conoscenza di Cbill e, più in generale, dei pagamenti elettronici». Il passaggio verso la digitalizzazione dei pagamenti si stimola anche così.