il manifesto 19.11.16
L’Italia non ha Podemos ma M5S. Come mai?
di Aldo Garzia
Come
mai in Italia non c’è una sinistra dalle dimensioni elettorali e dalla
forza attrattiva di Podemos, Linke, Syriza mentre quello spazio è
occupato dai 5 Stelle? È un rompicapo a cui applicarsi in attesa del
referendum del 4 dicembre. Il «caso italiano» dei decenni passati (la
società più politicizzata d’Europa con la più ramificata sinistra
politica e sociale) è infatti evaporato del tutto presentando ben altre
anomalie e peculiarità.
La data fondamentale di passaggio
ravvicinato è il 1989: «socialismo reale» in frantumi, «svolta» del Pci.
Si aprì allora una violenta diaspora tra chi intendeva liquidare storia
e patrimonio di quella sinistra e chi voleva provare a rinnovarla.
La
«carovana» di Achille Occhetto non aveva ancoraggi ideali, se non un
generico aprirsi al nuovo con una contemporanea presa di distanza dal
socialismo europeo (l’ombra di Craxi).
Il fronte del «no» si
divise invece all’interno del Pci tra i promotori di un nuovo partito
(Sergio Garavini, Armando Cossutta, Lucio Magri e altri) e chi riteneva
possibile rimanere nel «gorgo» (Pietro Ingrao, Aldo Tortorella, Giuseppe
Chiarante e per una fase Fausto Bertinotti).
Rifondazione
comunista finì per nascere più su una spinta emotiva di resistenza che
su un progetto di ripensamento a fondo dell’esperienza comunista
bisognosa di novità progettuali, organizzative e di innovative pratiche
politiche. La segreteria di Bertinotti cercò di superare l’handicap
dell’atto di nascita collocando Rifondazione sulla frontiera dei
movimenti.
La rottura col governo Prodi nel 1998 e le successive
scissioni (Comunisti unitari, Pdci, Sel) sui temi del governo e della
collocazione politica hanno però reso via via impraticabile l’ipotesi di
un partito neocomunista non testimoniale. Si è dimostrata inoltre assai
fragile l’idea che il comunismo italiano potesse salvarsi indenne dallo
tsumani grazie alla sua diversità positiva. A loro volta i movimenti –
quello no gobal innanzitutto – non sono riusciti a occupare con una
proiezione politica lo spazio lasciato libero (gli indignados e Podemos
in Spagna sono l’esempio contrario).
Le «due sinistre» si sono
successivamente allontanate ulteriormente, Pds-Ds da una parte e
Rifondazione dall’altra. Una chance di rimescolare le carte la ha avuta
Sergio Cofferati che tra il 2001-2003 coagulò intorno alla Cgil e a sé,
sul tema della difesa dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, di
una sinistra dei diritti e del lavoro, una domanda che attraversava sia
Rifondazione sia i Ds.
Poteva allora nascere un Partito del lavoro
come riaggregazione di una nuova sinistra non più figlia solo della
diaspora comunista e come alternativa al progetto di Partito democratico
che andava decollando? È probabile. Ed è assai probabile che sarebbe
cambiata pure la storia successiva delle due sinistre.
Resta
tuttora un mistero la scelta di Cofferati di ghettizzarsi nel ruolo di
sindaco a Bologna e di rinunciare perfino a una battaglia politica
interna quando il Pd prese forma, riaprendola solo dopo la sua
esclusione dalle liste regionali piddine in Liguria.
All’afasia di
Rifondazione e al tentativo di Sel di avviare una controtendenza, ha
fatto pendant la navigazione perigliosa del Pd voluto da Prodi, D’Alema,
Veltroni, Rutelli. Quando la sinistra Ds di Fabio Mussi decise di non
aderire al Pd echeggiando un refrain musicale dei Dik Dik («Io mi fermo
qui»), le cose erano andate troppo oltre le previsioni di quella
componente per modificarne il corso: non restava che tentare la risalita
con Sel.
Dopo aver perso per strada Prodi e Rutelli, aver preso
atto del «ritiro» di Veltroni, la conquista del Pd da parte di Matteo
Renzi ha finito di fare la frittata e ha segnalato – a seconda del punto
di osservazione – il fallimento del progetto Pd o il suo inevitabile
inveramento. Mentre la sinistra si divideva e tentava riaggregazioni,
diventava ancora più grave la crisi della politica italiana e iniziava a
germogliare la fenomenologia che ha dato origine al Movimento 5 Stelle:
corruzione dilagante, separazione abissale tra istituzioni, attività
politica e vita reale, opinione pubblica sempre meno interessata ai
partiti, rancore come reazione alle stagioni militanti.
La cosiddetta «antipolitica» ha così iniziato a dilagare senza che le due sinistre adottassero le contromisure.
Riforma della cultura politica e delle sue pratiche, questione morale non sono state ritenute priorità.
Ecco
così che il grillismo è diventato capace di tenere insieme spinte
trasversali di sinistra e di destra, sollecitazioni ambigue e
contraddittorie socialmente unificandole in un generico ma motivato
disprezzo per la politica e i partiti oltre che in una sbandierata
deideologizzazione di riferimento.
Lo spazio politico ed
elettorale che altrove è occupato a sinistra da Podemos, Linke e Syriza
in Italia è saldamente presidiato dai 5 Stelle.
Ed è prevedibile
che lo sarà anche nel medio periodo con concrete chance di andata al
governo e di rifiuto di qualsiasi rapporto unitario con altri soggetti.