il manifesto Alias 5.11.16
Dylan Thomas, un’esclusiva
I
documenti. Troppi elementi oscuri si sommano in quella notte al Chelsea
Hotel. Il nipote del grande poeta gallese apre per il manifesto la
valigia di documenti e foto. Dylan Thomas scomparve il 9 novembre a 39
anni ma la moglie Caitlin non riconobbe quel corpo
di Alessandro Puglia, Lorenzo Tondo
Il
fantasma di Dylan Thomas si aggira, inquieto e solitario, per le strade
di Catania, chiuso in una vecchia valigia di cuoio, zeppa di lettere e
segreti. Dentro ci sono foto, nomi, appunti e poesie, una missiva
scritta di pugno dall’allora presidente Jimmy Carter e un enigmatico
codice che rimanda ad un dossier top secret. Li ha raccolti e custoditi
Francesco Fazio, figlio di Caitlin Macnamara, moglie di Thomas, il bardo
più celebre della letteratura contemporanea inglese che ha influenzato
cantanti, scrittori e artisti del calibro di John Lennon, De André,
Tiziano Sclavi e di un certo Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan,
che scelse quel nome in onore proprio di Dylan Thomas.
IL MISTERO
La
scomparsa prematura di Thomas, morto a soli 39 anni, ancora oggi,
rimane un mistero. Chi o cosa ha ucciso il poeta più celebre del XX
secolo? Sbronze e sigarette o l’invidia di un giovane e rampante
«collega»?
La vedova Thomas non aveva dubbi. Così, 63 anni dopo la
sua morte, Francesco Fazio, unico erede di Thomas – nato dal matrimonio
di Caitlin Macnamara con il regista catanese Giuseppe Fazio – decide
per la prima volta di aprire quel bagaglio e svelare in esclusiva a il
manifesto i dubbi che attanagliavano l’esistenza di sua madre,
sollevando più di un sospetto sulle cause della morte del poeta.
A
partire dal giorno del «presunto» decesso. Quel 9 novembre che non
mette d’accordo biografi ed esperti. Che non convinceva nemmeno la
moglie Caitlin, lei che in lacrime davanti alla salma del marito disse:
«Questo non è il mio Dylan».
Era il 1953 e da qualche tempo Thomas
(nato a Swansea in Galles) risiedeva a New York, dove contava di
racimolare un po’ di quattrini accettando di leggere le sue poesie in
giro per gli States. La storia ufficiale racconta di un poeta soffocato
dal whiskey e da una strana cappa di smog che in quei giorni opprimeva
la Grande Mela.
Imbottito di farmaci e alcol, Thomas trascorreva
il tempo chiuso tra le quattro mura della stanza numero 205 del celebre
Chelsea Hotel, storico rifugio di altri geni maledetti come Charles
Bukowsky e Janis Joplin.
A distanza di oltre 60 anni, non è ancora
chiaro se ad ucciderlo furono i problemi respiratori aggravatisi negli
ultimi giorni o la negligenza più o meno volontaria di alcuni oscuri
personaggi che in quel tempo ruotavano attorno alla vita del poeta.
Quando arrivò in ospedale, Thomas era già in coma.
Per le autorità
morì il 9 novembre del 1953. «Una polmonite», dissero i medici, «o
forse il fegato che non aveva retto l’alcol». Poco importa. Dylan Thomas
non c’era più. Il resto non contava.
CHI LO UCCISE?
Francesco
Fazio vuole far luce su quel mistero. In quella valigia di cuoio,
imbottita di immagini e documenti, ha conservato tutto. Le foto di
Caitlin e Dylan, le poesie che sua madre dedicò alla Sicilia, fogli
ingialliti con su scritti appunti e nomi. Come quello di Milton
Felteinstein, il misterioso medico che ai primi di novembre del 53’
iniettò al poeta una robusta dose di morfina. Così robusta che in tanti
ritennero fatale.
O Elizabeth Reitell, segretaria e amante di
Thomas. Lei che stette accanto a Thomas in quei drammatici, ultimi
giorni del poeta prima di sparire nel nulla.
Ma l’indiziato numero
uno è senza dubbio il suo agente americano, il poeta John Brinnin. A
lui, David N. Thomas, autore del romanzo Who killed Dylan Thomas?
dedicherà interi capitoli. «John Brinnin è conosciuto per tante cose –
scrive David Thomas – Eppure, è riuscito a non farsi mai conoscere come
l’uomo che spedì un famoso poeta a una morte evitabile e che grazie a
questo riuscì a metter su una montagna di soldi».
Fazio vuole
delle risposte. Da chi è ancora in vita. Da chi ricorda quel dannato
novembre che rovinò l’esistenza di sua madre Caitlin. «Dopo che mia
madre non riconobbe Dylan in quel letto d’ospedale – racconta Fazio – in
preda al dolore, divenne incontrollabile. Dissero che aggredì Brinnin
come pretesto per rinchiuderla in manicomio».
Dopo quella
sfuriata, Caitlin fu infatti portata nell’ospedale psichiatrico di River
Crest a New York e rinchiusa per dieci giorni. Il certificato di
detenzione portava, guarda caso, la firma del dottor Feltenstein.
I GUANTI BIANCHI
E
ancora Fazio solleva i mille interrogativi legati alle misteriose
circostanze in cui venne effettuata l’autopsia sul cadavere di Thomas.
«Perché Dylan è stato sottoposto a un processo d’imbalsamazione? E
perché se il cadavere è stato imbalsamato non è stato esposto al
pubblico?», si domanda il figlio di Caitlin Thomas, che oggi vive a
Catania, luogo dove la madre, ballerina, poetessa ed esperta di
equitazione, dopo la morte del marito, ha deciso di trascorrere gran
parte della sua vita con il regista siciliano Giuseppe Fazio da cui
nacque Francesco. «Perché gli sono state nascoste le mani con dei guanti
bianchi? E perché al tempo stesso gli è stata posizionata sul viso la
maschera di ferro come a William Shakespeare senza nemmeno consultare la
vedova?».
LA MASCHERA DI FERRO
Già, la maschera. David
Slivka, scultore americano, in una conferenza tenuta in Galles nel 2001,
raccontò i dettagli di quell’opera da lui stesso realizzata «in gran
segreto».
«Fu un’esperienza surreale – disse Slivka – ricordo che
prendemmo le misure sul corpo nudo di Thomas. Il Chelsea Hotel gli aveva
sequestrato i vestiti dopo la sua morte e non vollero restituirli». E
ancora, nessuna analisi del sangue, non sono citate le cicatrici che
Dylan aveva sui polsi e nessun esame del Dna.
«Oggi ci sono
persone ancora vive che sanno – dice Fazio – ed è venuto il momento di
raccontare a tutti la verità». La verità su un uomo a suo modo scomodo
in un’America travolta dalla Guerra Fredda.
Thomas frequentava
comunisti, socialisti ed anarchici. Condivideva con loro il vino, ma
soprattutto le idee. Dopo la sua morte, la salma fu trasferita dal molo
di New York a Southampton in Inghilterra con la nave americana S.S.
United States, con Caitlin costretta a viaggiare dentro la stiva e con
camicia di forza.
Ad attestare quella terribile esperienza, il
manifesto è in possesso in un documento sulla lista di passeggeri
dell’imbarcazione che trasportava il feretro di Thomas e dove spunta il
nome della Macnamara.
Ad attenderne l’arrivo in porto non c’erano
giornalisti, né fotografi. «Strano trattamento per uno dei più celebri
poeti della letteratura inglese», commenta Fazio.
Tanti gli assenti nel giorno del suo funerale. Su tutti, il solito, misterioso John Brinnin che preferì rimanere a New York.
Già,
sempre lui, Brinnin. È lui infatti l’indiziato numero uno, lui che da
tempo era a conoscenza delle condizioni di salute del poeta e che non
aveva mosso un dito per aiutarlo.
«Mia madre Caitlin lo sapeva
bene – racconta Fazio – sapeva che dietro la morte c’era la mano di
Brinnin». Lui, Brinnin, che da tempo scherzava ambiguamente su come
avrebbe voluto sbarazzarsi di Thomas, invidioso della sua fama che
ostacolava la sua carriera di scrittore rampante. Che Brinnin abbia in
qualche modo sperato se non addirittura complottato per lasciarlo
morire, è una ipotesi che in tanti, studiosi e storiografi, non sentono
di escludere. A partire dal rapporto tra il dottor Feltenstein,
sospettato di aver iniettato nel sangue del poeta una dose fatale di
morfina, e lo stesso Brinnin. I due, infatti, si conoscevano molto bene.
Di
«negligenza medica» parlerà in una lettera l’allora presidente degli
Stati Uniti Jimmy Carter indirizzata allo stesso Fazio dopo la morte
della madre Caitlin e pubblicata per la prima volta in esclusiva su il
manifesto. «Mi ringraziava perché gli avevo spedito il libro Double
Drink Story, scritto da Caitlin, e mi chiedeva di non essere severo nei
miei commenti sulla morte di Dylan».
Eppure tra i fascicoli
segreti del governo inglese, raccolti sul sito internet degli archivi di
stato, il manifesto ha scovato un dossier segreto intitolato a Thomas
Dylan Marlais, ad oggi mai menzionato. Il numero di riferimento è IR
59/918. Il contenuto è top secret e lo sarà fino al primo gennaio 2036
quando verrà desecretato e reso ispezionabile al pubblico.
«Mia
madre sapeva c’erano cose che non era tenuta a conoscere sulla morte di
suo marito – racconta Fazio – Lo aveva scritto su un bigliettino pochi
giorni prima di morire: Niente non è percepibile, niente non è
intenzionale, tutto è inevitabile».
IL FILM MAI FATTO
«Voleva
che fosse il suo epitaffio – continua – ma i miei fratelli, sotto
pressioni esterne, non vollero farlo incidere perché mi dissero che
toglieva luce all’immagine di Dylan».
Da quando sua madre, a
luglio di tredici anni fa, si è spenta a Catania, Francesco ha sempre
continuato a cercare. E ha persino rifiutato un contratto milionario
dalla casa cinematografica di Mick Jagger dei Rolling Stones interessato
a girare un film sulla vita di Thomas. «Ho detto di no perché non mi
facevano prendere visione della sceneggiatura e non potevo svilire
l’immagine di mia madre».
Francesco intanto continua a scavare. Il
suo sogno è quello di riportare la salma di sua madre a Catania. «Qui,
ai piedi del vulcano, dove mi insegnò a ballare. E io le insegnai a
nuotare. Qui dove si chiacchierava sulla nostra vita e ci si confrontava
sulla poesia. Qui a Catania, in riva al mare, dove mia madre Caitlin
contemplava il fantasma di DylanThomas».