il manifesto Alias 20.11.16
Leo Strauss a confronto con Spinoza
Filosofia. Dall'ermeneutica dei testi biblici ai suoi riverberi etici e politici: un saggio da Mimesis
di Alberto Gaiani
Sulla
soglia della catastrofe perpetrata dal nazionalsocialismo tedesco,
negli anni venti del Novecento l’ebraismo europeo diede contributi
importantissimi al dibattito filosofico contemporaneo: in un breve lasso
di tempo furono pubblicati La stella della redenzione di Franz
Rosenzweig (nel 1921), Io e tu di Martin Buber (nel 1923), Il dramma
barocco tedesco di Walter Benjamin (nel 1928), solo fermandoci a tre
esempi celeberrimi: fu una sorta di età dell’oro della filosofia
ebraica, espressione peraltro problematica e controversa, contestata da
molti interpreti.
In questo ambiente, proprio a partire dagli anni
venti compiva i primi passi Leo Strauss, che emigrato poi in
Inghilterra e di seguito negli Stati Uniti, sarebbe divenuto uno dei
massimi filosofi della politica contemporanea. Prima dei capolavori
della maturità sulla scrittura reticente e sul recupero dell’antichità
greca e ebraica, i suoi saggi giovanili ruotavano intorno agli studi su
Spinoza: tre di questi testi sono stati da poco pubblicati per la prima
volta in italiano da Mimesis, per la cura di Riccardo Caporali e la
traduzione di Enrico Zoffoli con il titolo Il testamento di Spinoza (pp.
92, euro 12,00).
L’aspetto che balza subito agli occhi leggendo
questi studi di Strauss è la polemica contro Hermann Cohen – la massima
autorità degli studi ebraici primonovecenteschi, oltre che uno dei
fondatori del neokantismo – che attaccava la scienza biblica di Spinoza
accusandolo di mascherare il risentimento dietro a una pretesa
scientificità dell’esegesi del testo sacro. Strauss difende
l’ermeneutica spinoziana sia sul piano metodologico, cercando di far
valere l’interpretazione storico-critica inaugurata da Mommsen («non è
consentito appellarsi a motivi “egoistici” nella misura in cui risultano
sufficienti i motivi “debiti”»), sia sul piano dei contenuti, mostrando
come la concettualità dispiegata nel Trattato teologico-politico sia
ovviamente discutibile, ma salda, logicamente coesa, per nulla peregrina
o viziata da idiosincrasie estemporanee.
Tuttavia, in questi
scritti di Strauss emergono anche altri elementi, che poi saranno
sviluppati nella sua opera matura e che troveranno ampia eco anche al di
fuori e indipendentemente dalla sua opera. Il problema
dell’interpretazione testuale – a maggior ragione nell’ambito della
religione del testo per antonomasia – non è un puro problema
ermeneutico: diviene giocoforza un problema etico, e quindi assume una
dimensione politica.
Lettura, comprensione e interpretazione non
sono esercizio di comprensione fine a sé stesso, ma ci chiamano a
esplicitare quel che pensiamo della realtà, di come è fatta, di quale
ruolo occupiamo al suo interno, di quali principi guidano le nostre
azioni. In gioco, sostiene Strauss, è il rapporto dell’uomo con la
verità. Sulla scorta di Spinoza, la posizione di Strauss è chiarissima:
«La verità può essere solo saputa, non creduta. L’uomo la conosce solo
se la comprende – in caso contrario, si limita a dar voce a parole».