il manifesto 9.11.16
Metà degli 80 euro vanno ai redditi alti
Rapporto
Istat. Prestazioni sociali basse e in costante riduzione. I poveri in
Italia sono 4,6 milioni: 1,1 milioni i minori, raddoppiati in quattro
anni. Quasi un milione di cittadini cumula più sussidi. Unione
consumatori: «Parametrarli sul reddito Isee»
di Antonio Sciotto
ROMA
La metà della spesa destinata agli 80 euro viene erogata a famiglie con
redditi medi e medio-alti, mentre solo un terzo ha beneficiato i nuclei
più poveri. Il dato viene dall’Istat, ieri in audizione al Senato.
L’istituto di statistica ha disegnato un quadro generale sul welfare e
l’assistenza alle fasce deboli della popolazione italiana, rilevando che
mentre aumentano ad esempio i minori in povertà assoluta, dall’altro
lato gli strumenti di integrazione al reddito (come può essere
considerato lo stesso bonus renziano) in molti casi sbagliano la mira e
vengono anche cumulati con altri sussidi.
«Solo un terzo della
spesa totale per il bonus è destinato a beneficiari che vivono in
famiglie collocate nei due quinti più poveri della distribuzione del
reddito, mentre metà della spesa viene erogata a dipendenti che vivono
in nuclei con redditi medi e medio-alti», ha spiegato il presidente
dell’Istat Giorgio Alleva illustrando le stime di microsimulazione sugli
effetti degli 80 euro nel 2015.
In generale l’Italia, rispetto ad
altri Paesi europei, «spende sistematicamente meno per la protezione»
dei «deboli», spiega l’istituto, chiamato a dire la sua sul ddl lavoro e
sul riordino delle prestazioni sociali. Secondo Alleva, nel 2015 «la
quota di spesa pubblica destinata all’assistenza in Italia rappresenta
circa il 10% (10,1%) del totale delle spesa in prestazioni di protezione
sociale», ma «al netto del bonus 80 euro, l’incidenza della spesa
pubblica assistenziale sarebbe dell’8,2%». «D’altra parte – spiega il
presidente Istat – le misure previste dal sistema socio-assistenziale
sono solo in parte finalizzate al contrasto della povertà e non si
rivolgono esclusivamente a individui in condizioni di difficoltà
economica, avendo anche altre finalità».
Si spende poco, insomma, e
male, se può accadere che «con una certa frequenza, in capo a uno
stesso beneficiario, vi sia il cumulo di più prestazioni», quindi con
sussidi doppi o multipli. E il fenomeno non è marginale: secondo l’Istat
riguarda il 19% del totale dei beneficiari delle prestazioni prese in
esame (assegni sociali, pensioni invalidità civile o accompagnamento),
pari a poco meno di 1 milione di persone.
Ovvio che se si tratta
di nuclei poveri, sommare più prestazioni (in genere di per sé basse),
non si tratta di soldi mal spesi, ma più in generale da tempo si chiede
di legare più strettamente le prestazioni al reddito Isee della persona
(anche in rapporto al suo inserimento in un nucleo familiare di più
unità). Richiesta ribadita ieri dall’Unione nazionale consumatori: «Si
dovrebbero commisurare tutti i bonus elargiti in base al reddito Isee,
dal bonus di 80 euro alla quattordicesima, dal bonus bebè a quello per
gli asili nido».
In Italia 4,6 milioni di persone nel 2015 vivono
in condizioni di povertà assoluta, pari al 7,6% della popolazione.
Nell’ultimo decennio il dato più basso risale al 2006, quando gli
individui in difficoltà erano 1,8 milioni; confrontando i due numeri
risulta un incremento del 177%.
Allarmante anche il dato relativo
ai «minori in condizione di povertà assoluta»: sono, sempre stando ai
dati del 2015, «1 milione 131 mila», «quasi l’11% di quelli residenti
nel nostro Paese». «Il numero di minori poveri assoluti – spiega
l’istituto di statistica – risulta oltre il doppio rispetto a quello
stimato nel 2011 (523 mila; il 5% del totale) e triplo rispetto a quello
del 2008 (375 mila; il 3,7%)». Rispetto a dieci anni fa (2006) il loro
numero si è incrementato del 298,2%.
E i sussidi non aiutano a
uscire dalla condizione di povertà: l’Istat fa notare che «nonostante
l’assegno per il nucleo familiare concesso dai Comuni alle famiglie con
tre o più figli minori venga erogato a oltre 234 mila beneficiari, il
18,3% delle famiglie di questa tipologia (143 mila) continua a essere in
povertà assoluta, per un totale di quasi 183 mila minori». Senza
contare che le stesse risorse destinate dai Comuni alle spese sociali si
sono ridotte costantemente a partire dal 2009, e con maggiore intensità
dal 2011 in poi, a causa del patto di stabilità interno: «Dal 2011 al
2013 – conclude l’istituto – la decrescita è compresa fra 1 e 2 punti
percentuali ogni anno».