Corriere 9.11.16
Riforma della Costituzione e politiche partigiane
risponde Sergio Romano
Sento
sovente i sostenitori del «sì» alla riforma costituzionale affermare,
come fosse un totem, che non sono stati toccati i poteri del premier. Le
vorrei domandare se le sembra giusto, accettabile, in un mondo moderno
dove tutto è veloce, frenetico, che il Primo ministro non possa revocare
i suoi ministri, né possa determinarne l’attività, ma solo coordinarla?
Paola Balestroni
Cara Signora,
Credo
che lei abbia ragione e aggiungo che non sarei scandalizzato se il
presidente del Consiglio, come in Gran Bretagna, potesse anche
sciogliere le Camere (il ruolo della regina è puramente notarile). Ma
queste proposte erano nel progetto di riforma costituzionale presentato
dal governo Berlusconi e respinto con il 61,29% dei «no» nel referendum
del 2006. È probabile che sia questa la ragione per cui il nuovo
progetto, su cui gli italiani voteranno il 4 dicembre, non avanza le
stesse proposte. Renzi e i suoi collaboratori temevano che l’aumento dei
poteri del presidente del Consiglio avrebbe condannato la loro proposta
a una stessa sorte.
La prudenza non ha evitato che queste paure
si realizzassero. Uno degli argomenti maggiormente usati nelle scorse
settimane è quello della svolta autoritaria che la nuova costituzione
renderebbe possibile. Se ne serve anche Berlusconi quando si dichiara
convinto che il «sì» al nuovo progetto avrebbe per risultato «un uomo
solo al comando». Per bruciare le ali della riforma di Renzi, il leader
di Forza Italia esprime preoccupazioni che sarebbero molto più calzanti
se dirette alla proposta costituzionale del 2006. Con quella proposta
infatti Berlusconi creava le condizioni per un tipo di premierato molto
simile a quello della Gran Bretagna. La sua riforma, se fosse stata
approvata, avrebbe considerevolmente ridotto i poteri del presidente
della Repubblica.
Questa vicenda, cara signora, dimostra quanto
sia difficile modificare la Costituzione quando il compito di cambiarla e
approvarla viene lasciato nelle mani di chi è immerso sino al collo
nella lotta politica. Sappiamo che il successo del «sì» sarebbe
interpretato come una vittoria di Renzi e sappiamo che molti avversari
di Renzi saranno anche nemici della sua riforma costituzionale. Vi sono
circostanze in cui lo spirito di parte prevale sull’interesse generale.
Non sempre la coerenza è una virtù della lotta politica.