il manifesto 9.11.16
Demirtas in isolatamento, confiscati libri e vestiti
Turchia. Il co-presidente dell’Hdp detenuto in una prigione nota in passato per abusi e torture
Tensione tra Ue e Ankara sui visti: Bruxelles minaccia ma Erdogan contrattacca
Scontri tra manifestanti kurdi e polizia
di Chiara Cruciati
«Non
c’è dubbio che la sola via è restare vicini e allargare la lotta comune
contro il fascismo». Tre fogli di carta, un messaggio scritto a penna: è
il testo che il co-presidente del Partito Democratico dei Popoli (Hdp),
Selahattin Demirtas, è riuscito a inviare fuori dal carcere di massima
sicurezza di Edirne, in cui è detenuto da sabato.
«Il fatto che,
insieme ai nostri parlamentari, siamo stati presi in ostaggio come
risultato di un colpo di Stato civile non è un mero attacco contro di
noi come individui. È un nuovo passo compiuto da chi ha implementato
varie misure per consolidare il potere di un uomo solo. Anche se siamo
tra quattro mura, continueremo a essere parte della lotta fuori».
Demirtas
prova a restare vicino alla base, profondamente scossa dall’ondata di
arresti contro i deputati Hdp. Lo fa in condizioni pessime: costretto in
una cella isolamento, ieri si è visto confiscare vestiti e libri. Con
sé ha solo un letto e una coperta. La prigione di Edirne, del tipo F
(ovvero destinata a prigionieri politici, membri di organizzazioni
considerate terroriste e ergastolani), negli anni Ottanta divenne
sinonimo di abusi e torture.
Sulle mura della prigione, raccontava
ieri l’agenzia kurda AnfEnglish, ci sono scritte che esaltano
l’identità turca e che accompagnano gli abusi contro i detenuti:
isolamento come forma punitiva, pestaggi, confisca di oggetti personali,
luci accese tutto il giorno.
A poca distanza, nella stessa città,
c’è il centro di detenzione per migranti, ribattezzata «la prigione
della vergogna» e oggetto di rapporti di Human Rights Watch, finanziata
in parte con i soldi dell’Unione Europea. Impossibile non vedere
l’enorme contraddizione, l’ipocrisia europea che esplode ancora un volta
lungo una frontiera. Esplode anche dentro il carcere di Edirne che,
insieme alle altre di tipo F, è stata oggetto nel 2006 di un rapporto
del Comitato europeo per la prevenzione della tortura che parlò di
condizioni potenzialmente degradanti e disumane.
Lì dentro c’è il
leader di un partito che conta 48 deputati in parlamento. Ieri l’Hdp ha
tenuto il primo meeting privo di 12 parlamentari, a cui hanno preso
parte gli ambasciatori di Belgio, Austria e Lussemburgo e il
rappresentante della Ue. Ma lo scontro tra Bruxelles e Ankara si giocava
su altri tavoli: ieri il presidente della Commissione Europea Juncker
ha mandato un ultimatum al presidente Erdogan.
Senza nominare
direttamente l’Hdp, Juncker ha messo in dubbio la liberalizzazione dei
visti che Ankara chiede come parte integrante del “pacchetto-migranti”:
«[La Turchia] si allontana ogni giorno di più dall’Europa – ha detto da
Bruges – Bisogna che le autorità turche ci dicano se vogliono davvero
avvicinarsi. Tutto quello che fanno mi porta a pensare che non vogliono
rispettare gli standard europei».
Si palesa anche il possibile
congelamento degli infiniti negoziati sull’ingresso della Turchia in
Europa. Oggi la Commissione dovrebbe pubblicare un rapporto nel quale
definirà la situazione dei diritti umani deteriorata rispetto al 2015,
un giorno dopo le preoccupazioni espresse dall’Alto rappresentante Ue
agli affari esteri Mogherini. A Lady Pesc risponde il Ministero degli
Esteri turco che in un comunicato bolla come «inaccettabili» le critiche
di un’istituzione, la Ue, che «ha perso credibilità agli occhi del
popolo turco».
Un balletto che va avanti da anni e che permette ad
Ankara di agire con la massima impunità mentre sbeffeggia quegli
alleati che ne coprono le nefandezze. In casa è l’Europa, fuori sono gli
Stati Uniti. Al di là della frontiera, nel nord della Siria, i kurdi
siriani delle Ypg – insieme ai combattenti arabi, circassi e turkmeni
delle Forze Democratiche Siriane – proseguono nell’avanzata su Raqqa.
Altri 5 villaggi sono stati liberati dall’Isis e il fronte si è
avvicinato di 14 km alla “capitale” dello Stato Islamico. Il tutto con
il beneplacito di Washington che copre l’offensiva dal cielo, ma che con
l’altra mano promette Raqqa alla Turchia.
Ankara da parte sua non
aiuta di certo l’operazione. Ieri le Ypg hanno denunciato due tentativi
di infiltrare gruppi di miliziani anti-kurdi dentro Rojava, dal confine
turco verso le comunità di Doda e Kobane.