il manifesto 8.11.16
Sel, ambiziosa ma sconfitta. L’autocritica di Vendola
Il
10 dicembre il partito chiude i battenti. L'assemblea nazionale dice sì
allo scioglimento, ora la parola passa agli ex iscritti. Non tutti
applausi sulla nuova 'Sinistra italiana'. Il verde Calzolaio:
sull'ambientalismo facciamo passi indietro
di Daniela Preziosi
ROMA
Sel non sarà stata un fallimento, di certo è stata sconfitta. L’analisi
di Nichi Vendola è severa, irreparabile, domenica scorsa a Roma,
all’assemblea nazionale di Sel, l’ultima del partito nato nel 2009 da
una scissione di Rifondazione comunista e arrivato allo scioglimento e
alla confluenza in Sinistra italiana. Un partito, Sel, nato per
«riaprire la partita» della sinistra e del centrosinistra, per esserne
il «lievito». Ma per il presidente il bilancio è amaro. «La crisi del
mito riformista», dice Vendola, nel frattempo si è fatta
«irrimediabile», quel riformismo che oggi si scopre essere «l’abilità
tecnocratica di riduzione del danno». Sel è stata «ambiziosa» ma non è
riuscita a condizionare l’alleanza Italia bene comune con il Pd, chi nel
2013 l’ha fortissimamente voluta e sostenuta – Sel, appunto, sotto la
guida del suo presidente – non si è reso conto che la possibilità di
successo era già irrimediabilmente corrosa «dall’acido del montismo». La
storia che è venuta dopo era dunque una strada già tracciata:
Napolitano rieletto al Quirinale, le larghe intese, l’ascesa di Renzi
prima al Pd e poi a Palazzo Chigi. L’autocritica va a ritroso e in
profondità, alla «scommessa in campo aperto usando spregiudicatamente
gli strumenti dei nostri avversari, le primarie, anche se avevamo
passato una vita a criticarle». In realtà nel vecchio Prc fu Fausto
Bertinotti il primo a parteciparvi, era il 2005, e all’epoca le poche
voci contrarie erano liquidate come museali e indietriste. Più di
recente, male anche la linea seguita alle europee del 2014, dove pure il
cartello Altra Europa con Tsipras prese un milione di voti e tre
eletti: «Per ingenuità abbiamo creduto alle parole di Martin Schulz
(all’epoca candidato del Pse, ndr) contro l’austerity», ammette Vendola;
avevano dunque qualche motivo reale le dure polemiche di quei giorni.
C’è infine un ritardo anche nella tempistica dello scioglimento di Sel,
che ha frenato e forse segnato la nascita di Sinistra italiana (il
congresso sarà a febbraio), ammette Vendola, che in coincidenza si è
ritirato dalla politica per ragioni personali (note e belle, ha avuto un
figlio).
Alla relazione segue un dibattito. Il confronto è
serrato ma dei 240 componenti più della metà non c’è. Il punto
naturalmente non è la fine di Sel, ormai cosa fatta (sin dal 24 gennaio è
stato deciso lo stop al tesseramento), né la gratitudine a Vendola,
spiega il deputato Francesco Ferrara, il primo a intervenire: il punto
sono «gli steccati» con cui nasce, dice, la nuova creatura. Perplessità
anche da Valerio Calzolaio, una delle storiche anime verdi di Sel:
Sinistra italiana «sulla cultura ambientalista fa già dei passi
indietro». A dispetto del «massimo impulso» deciso nei confronti del
nuovo partito, quella di Si insomma sarà un’altra storia. E a giudicare
dai dissensi non sarà la storia di tutti gli ex sellini. Si capirà dopo
il referendum. L’assemblea si conclude con un voto a stragrande
maggioranza sul dispositivo di scioglimento, ma molti dei perplessi non
partecipano al voto. Per evitare contestazioni sui numeri la presidenza
decide di aspettare i voti degli assenti, da inviare per email «nei
prossimi 3 o 4 giorni», spiegano. Il 10 dicembre, il primo sabato dopo
il referendum, saranno consultati gli iscritti nelle assemblee
provinciali. Poi giù il sipario, al netto degli atti formali e del
trasferimento delle sostanze di un partito a un altro. Che pure, la
storia insegna, sono sempre passaggi delicati.