Il Fatto 8.11.16
La fabbrica di flop di Daria Bignardi: Rai3 in estinzione
Daria
 Bignardi dovrebbe lasciare Rai3 così com’è o come l’ha trovata, almeno 
non rischia di riempirla di flop. In ordine di tempo, l’ultimo si chiama
 Amore criminale, un programma che con gli anni è diventato a pieno 
titolo un appuntamento di successo e dunque un simbolo di Rai3. Per 
motivi strettamente di gusto personale, il direttore di Rai3 ha escluso 
dalla conduzione Barbara De Rossi, subito ingaggiata da Mediaset, e ha 
affidato la nuova edizione di Amore Criminale ad Asia Argento. 
Nonostante la copiosa pubblicità sul canale del servizio pubblico e 
nelle trasmissioni di maggiore ascolto della stessa rete, la figlia di 
Dario ha conquistato soltanto un sacco di critiche e un pessimo 3 per 
cento di share. E la De Rossi? Con vari cambi di giorno e di palinsesto,
 registrava quasi il triplo del pubblico di Asia Argento. Oltre a questa
 novità di cronaca, Bignardi s’è cimentata anche nella politica e i 
risultati di Politics sono catastrofici: escluse la puntata di esordio 
(quando ancora non era ricominciato Dimartedì su La7) e quella con 
l’intervista fiume a Matteo Renzi, Gianluca Semprini è costantemente tra
 il 2,6 e il 2,9 per cento di share. Praticamente inesistente. E pensare
 che la Bignardi ha chiuso Ballarò e rinunciato a Massimo Giannini per 
far posto al giornalista di Sky Tg24. Rai3 si regge ancora sui programmi
 storici come Chi l’ha visto? e Report, che va molto bene anche il 
lunedì sera. A un anno e due mesi dall’inizio del mandato in Viale 
Mazzini, non si segnalano clamorose invenzioni dell’amministratore 
delegato Antonio Campo Dall’Orto. Anzi, il contrario. E per fortuna è 
finito il ciclo di puntate di Dieci cose, il varietà del sabato sera di 
Rai1 ideato da Walter Veltroni. Per i saluti conclusivi, la trasmissione
 ha raggiunto il 12,5 per cento di share. Una miseria.
Repubblica 8.11.16
Il pm Di Matteo resta a Palermo “Andare via sarebbe una resa”
Il magistrato minacciato dalla mafia rifiuta il trasferimento offerto dal Csm per motivi di sicurezza
di Salvo Palazzolo
«Quella
 di Di Matteo è una situazione che ci dà molta preoccupazione», dice la 
presidente della terza commissione del Csm, Elisabetta Alberti 
Casellati, al termine dell’audizione. «Per questo che lo abbiamo 
ascoltato due volte in venti giorni, perché riflettesse su questa 
pericolosità alta. Anche oggi abbiamo ribadito la nostra preoccupazione 
».
PALERMO. Al Csm hanno insistito: «C’è una situazione
 di pericolo a Palermo per lei, ci ripensi ». Nino Di Matteo ha 
risposto: «Accettare un trasferimento connesso esclusivamente a ragioni 
di sicurezza costituirebbe un segnale di resa personale e istituzionale 
che non intendo dare».
Il pubblico ministero del processo 
“trattativa Stato-mafia” resta a Palermo, non ha accettato la proposta 
del consiglio superiore della magistratura di un trasferimento «in via 
d’urgenza» a Roma, alla procura nazionale antimafia. «La mia aspirazione
 professionale di continuare a lavorare sulla criminalità organizzata 
andando alla Dna — dice al termine dell’audizione — si realizzerà 
eventualmente solo se e quando sarò nominato in esito a una ordinaria 
procedura concorsuale». La domanda per la procura nazionale Di Matteo 
l’ha già presentata, adesso aspetta l’esito del concorso per i quattro 
posti messi a bando, il Csm potrebbe decidere anche a breve. Ma niente è
 scontato, l’anno scorso il magistrato è stato bocciato per la Dna, ha 
fatto pure ricorso al Tar. Intanto, non fa più parte del pool antimafia,
 da sei anni il suo incarico è scaduto, così quando non si occupa della 
“trattativa” segue i processi su verande abusive e ciclomotori rubati.
Dice:
 «In alcuni momenti ho avuto la sensazione di un isolamento 
istituzionale, alcune istituzioni non mi sono state vicine come mi sarei
 aspettato. Al contrario di tantissimi giovani che mi hanno dimostrato 
solidarietà e vicinanza. La loro voglia di verità e di giustizia è un 
fatto importante».
Ora, la decisione di restare a Palermo. «Una 
decisione molto sofferta», non nasconde. La nuova allerta era scattata 
un mese fa, quando un’intercettazione dei carabinieri aveva sorpreso un 
boss di Palermo mentre rimproverava la moglie, perché sua madre aveva 
accompagnato la figlioletta al circolo sportivo frequentato dal 
magistrato. «È certo che lo devono ammazzare», diceva il boss. Il 
procuratore capo Francesco Lo Voi aveva subito inviato l’intercettazione
 al Csm, che già aveva un fascicolo sul caso Di Matteo.
Tre anni 
fa, era stato il capo di Cosa nostra, Salvatore Riina, anche lui 
imputato del processo “trattativa”, a lanciare un ordine di morte nei 
confronti del pubblico ministero palermitano: «In aula mi guarda con gli
 occhi puntati così, e io pure — diceva il padrino al compagno di cella,
 il boss pugliese Alberto Lorusso — E allora organizziamola questa cosa,
 facciamola grossa e dico non ne parliamo più… Un’esecuzione come 
eravamo a quel tempo a Palermo». Dopo le parole di Riina, sono arrivate 
le rivelazioni del pentito Vito Galatolo: «Il tritolo per Di Matteo è 
già a Palermo», ha messo a verbale. Un’allerta che ha portato il 
Viminale a far scattare il primo livello di protezione, nella scorta 
(composta da quattro Jeep blindate) c’è anche il bomb jammer, un 
dispositivo antibomba che neutralizza i telecomandi.
 
