il manifesto 5.11.16
Referendum, anche il rinvio è rinviato
Onida: "Ci potrebbe essere un problema di sospensione e nel caso la Corte costituzionale avrebbe i poteri per disporla"
di Andrea Fabozzi
La
Corte costituzionale può sospendere il referendum. Valerio Onida lo
aveva scritto nel suo ricorso presentato al tribunale civile di Milano,
lo ha argomentato in udienza e lo ha ripetuto ieri a margine di un
convegno a Milano. Secondo il giurista, che è stato presidente della
Consulta nel 2004, se la giudice milanese Loreta Dorigo dovesse
accogliere i dubbi di costituzionalità sul quesito unico – che costringe
i cittadini a esprimersi con un solo sì o un solo no sul complesso
della riforma – «ci potrebbe essere un problema di sospensione ed
eventualmente i poteri li avrebbe la stessa Corte costituzionale».
Allungandosi
i tempi della decisione della giudice ordinaria – dieci giorni almeno, è
stato comunicato giovedì – questo descritto da Onida resta l’unico
scenario ancora in piedi per chi spera nel (o lavora per il) rinvio del
referendum. A metà novembre, infatti, se Renzi volesse davvero
allontanare le urne del 4 dicembre, potrebbe farlo solo con un blitz:
una deliberazione del Consiglio dei ministri e su quella base un nuovo
decreto del presidente della Repubblica per fissare la data a fine
gennaio e dare tempo alla Consulta di esprimersi sulla costituzionalità
della legge 352 del 1970 che disciplina il referendum. La politica,
cioè, dovrebbe prendersi la sue responsabilità, come hanno spiegato
sempre ieri due degli avvocati protagonisti del primo ricorso contro il
quesito unico a Milano (Onida è arrivato dopo e il suo è un procedimento
d’urgenza che precede la causa nel merito), Claudio Tani e Aldo Bozzi.
«Il referendum non è “appeso a una toga”», hanno scritto, anche in
risposta a quei sostenitori del No che, consultati i sondaggi,
cominciano a mostrare timori per la «strategia giudiziaria» di attacco
alla riforma costituzionale che può risolversi in una dilazione. In ogni
caso, hanno spiegato Tani e Bozzi, se il problema del quesito unico
sarà portato davanti alla Consulta, sarà il governo a dover «decidere di
confermare la data del voto, con potenziale grave lesione del diritto
dei cittadini, oppure rinviarlo».
Eppure è davvero molto difficile
che il governo vorrà prendersi questa responsabilità. Renzi è stato
molto netto nel negare ogni slittamento (seppure in relazione al
terremoto) e soprattutto c’è l’intero fronte delle opposizioni
all’attacco. Quella del presidente del Consiglio apparirebbe
inevitabilmente una fuga (dai sondaggi negativi) e nessun precedente si
potrebbe richiamare. Perché gli unici due casi di referendum spostati
dalla scadenza legale riguardano referendum abrogativi. E sia nel 1987
(nel passaggio tra il governo Fanfani VI e il governo Goria) sia nel
2009 (governo Berlusconi) il rinvio passò dal parlamento e c’erano
ragioni tanto solide da essere accolte anche dalle opposizioni. La
soluzione Onida, con l’intervento autonomo della Consulta, toglierebbe
palazzo Chigi dall’imbarazzo. Ed è il caso di notare come questo
suggerimento ai giudici delle leggi sia l’unico punto di sostanziale
differenza tra il ricorso Onida e quello, precedente, di Tani e Bozzi.
Per
conoscere l’esito di entrambi bisognerà aspettare la metà di novembre.
Sarà allora che verranno a soluzione le ben sei offensive giudiziarie
contro il referendum che restano ancora in piedi (tre sono state
chiuse). Oltre ai due ricorsi ordinari di Milano di cui si è detto, il
16 novembre si dovrà pronunciare il Tar su tre ricorsi (Onida, Codacons e
adesso anche quello del professor Lanchester e del radicale Staderini,
che si sono rivolti anche all’Ufficio centrale per il referendum). Ma
soprattutto si attende il 15 novembre il giudizio delle Sezioni unite
della Cassazione, sollecitate dal Codacons ancora sul quesito
referendario, ritenuto ingannevole. È possibile che anche la giudice di
Milano stia aspettando questa autorevole decisione.