il manifesto 30.11.16
Il set teatrale di Artemisia Gentileschi
Mostre.
Al museo di Roma Palazzo Braschi un'esposizione con oltre cento opere
invita a ripercorrere l'itinerario artistico di una grande pittrice e a
rivisitare il Seicento attraverso le sue narrazioni a confronto con
quelle dei «colleghi»
di Arianna Di Genova
Colori
sontuosi, immagini bibliche e eroine che conquistano la scena con la
baldanza di chi, muovendosi elegantemente tra le quinte della Storia,
non esita a uccidere avversari invincibili. Gli scorci delle narrazione
di Artemisia Gentileschi sono set teatrali di cruda realtà (spesso
decapitazioni) che alla sensualità del vivere con una ostentata aderenza
ai fatti uniscono l’astrazione di un pensiero vivace.
Artemisia
(1593-1653), figlia primogenita del pittore Orazio Gentileschi
(esponente di primo piano del caravaggismo romano), affrontò il mondo
culturale con le armi affilate del cavalletto e della tavolozza: fu a
lei e non ai sei eredi maschi che il padre trasmise le conoscenze
artistiche. E sempre a lei riconobbe ogni onore uno storico come Roberto
Longhi nel 1916: «Artemisia Gentileschi, dal nome favoloso e serico
come le pitture del padre, ci pare l’unica donna in Italia che abbia mai
saputo cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità».
Eppure dovette emigrare a Firenze, nel 1616, per accedere agli studi
accademici: fu la prima ad assicurarsi una «stanza tutta per sé» come
allieva. A Roma, le donne non erano ammesse. Dopo quel viaggio, condurrà
un’esistenza caratterizzata da grandi spostamenti, seguendo committenze
e promesse di lavoro che la porteranno non solo a Napoli, città
d’elezione, ma anche a Londra, dove nel 1638 Artemisia raggiunse il
padre, presso la corte di Carlo I.
La mostra che si inaugura oggi a
Roma, presso Palazzo Braschi (fino al 7 maggio 2017, copre l’intero
arco temporale della vicenda professionale di Artemisia Gentileschi, in
un confronto serrato con l’arte del suo tempo: sono circa cento le opere
esposte, provenienti da collezioni private e da importanti musei
internazionali. L’esposizione (catalogo Skira), curata da Nicola Spinosa
per la sezione napoletana, da Francesca Baldassari per la parte
fiorentina e da Judith Mann per quella romana, propone capolavori
celeberrimi come Giuditta che taglia la testa a Oloferne (Museo di
Capodimonte), ma anche Ester e Assuero del Metropolitan Museum di New
York o l’Autoritratto come suonatrice di liuto del Wadsworth Atheneum di
Hartford Connecticut, oltre alle opere dei «colleghi» seicenteschi.
Fu
una vita tumultuosa quella di Artemisia, segnata precocemente dallo
stupro del pittore Agostino Tassi (1611), cui seguì un celebre processo.
Un percorso a ostacoli superato facendo leva su un desiderio di libertà
sempre praticato e su un talento fuori dal comune. Basti osservare
l’audacia compositiva e il ritmo vorticoso del corpo nella prima opera
attribuita ad Artemisia Gentileschi, quella Susanna e i vecchioni
dipinta probabilmente nel 1610.