il manifesto 3.11.16
Referendum, al voto il più tardi possibile
Il
gioco delle parti. Alfano: «Se l’opposizione chiedesse lo slittamento
per l’emergenza terremoto dimostrerebbe buon senso». Renzi: «Dibattito
surreale». Ma lo alimentano i suoi. Che sperano nella Consulta
di Andrea Fabozzi
«Il
governo non farà nessun passo in avanti, però…». Parlava per il governo
e non a titolo personale Angelino Alfano, quando ieri mattina al
microfono di Rtl 102.5 (la radio che Renzi sceglie abitualmente per le
sue interviste) ha rilanciato l’ipotesi di far slittare il referendum
costituzionale. Poco dopo il presidente del Consiglio ha smentito le
«tentazioni» del ministro dell’interno, senza cancellare l’impressione
di una manovra combinata. E non la prima: da tre giorni sono gli
esponenti del Sì ad agitare l’idea di un rinvio «causa terremoto»,
mentre i sostenitori del No, che leggono gli stessi sondaggi, non
vogliono sentirne parlare. Poi arriva Renzi, come ieri, che scarica le
responsabilità sugli altri. «Non perdiamo tempo – dice – è un dibattito
surreale sollevato per non parlare del merito della riforma: referendum e
terremoto non hanno nulla a che vedere».
Surreale è apparso
Alfano, che ha proiettato i suoi desideri sull’opposizione: «Se avesse
questo sentimento e questa considerazione di buon senso, rispondente
all’animo profondo degli italiani», ha detto caldeggiando il rinvio
«emergenziale» delle urne. Ma sono tre giorni che l’opposizione dice
«niente rinvio», anche la stessa Forza Italia alla quale il ministro
dell’interno si è particolarmente appellato perché «dovrebbe collocarsi
tra i moderati». Niente da fare, se Berlusconi resta sempre un po’ in
sospeso su tutta la materia, i forzisti per una volta uniti avevano già
bocciato sia il primo tentativo di abboccamento di Pierluigi Castagnetti
sia i successivi rilanci di Sacconi e Cicchitto, graduati del partito
di Alfano. Anche ieri Brunetta, Romani e Toti hanno chiuso subito,
contraria anche Sinistra italiana mentre M5S ha cominciato ad appuntire i
suoi argomenti polemici, Grillo inaugurando l’hashtag #iovogliovotare.
Perché Renzi ha inequivocabilmente chiuso, ma solo per quanto riguarda
il rinvio «causa terremoto». «Per me la questione non esiste», aveva già
detto lunedì, non è però l’unica.
Il governo ha già fissato il
voto nell’ultimo giorno utile e anche oltre, perché l’Ufficio centrale
del referendum aveva dato il via libera al quesito – lo stesso che il
poligrafico dello stato sta stampando sulle schede – addirittura
all’inizio di maggio. Il referendum si sarebbe potuto tenere ai primi di
settembre. Oppure ai primi di ottobre, ma solo perché un comitato del
No e il comitato governativo del Sì hanno deciso (i primi senza
riuscirci) di raccogliere le firme dei cittadini per replicare la
richiesta dei parlamentari. Poi Renzi si è preso tutto il tempo
consentito per far slittare la consultazione il più aventi possibile. Ma
i tre mesi in più di campagna elettorale senza regole non sono bastati e
siamo ancora al punto in cui il Sì avrebbe da guadagnare con un rinvio.
Esclusa
l’ipotesi di uno spostamento «per forza maggiore» – che pure risulta
essere stata considerata dal governo nelle prime ore dopo il sisma – c’è
però la questione dei giudizi pendenti davanti alla giudice monocratica
di Milano Loreta Dorigo. Sono due ed entrambi mirano a portare la legge
sul referendum (la 352 del 1970) davanti alla Corte costituzionale,
nella parte in cui non prevede la possibilità di far svolgere referendum
costituzionali separati, in modo da sottoporre ai cittadini la riforma
costituzionale frazionata in parti omogenee.
La questione è
controversa, l’ideale sarebbe avere disegni di legge di revisione
costituzionale separati e autonomi. Altrimenti – come nel caso della
riforma Renzi-Boschi – lo «spacchettamento» presenta comunque aspetti di
arbitrarietà. Il primo ricorso è stato presentato a giugno da tre
avvocati – Tani, Zecca e Bozzi – ai quali si è successivamente aggiunto
Besostri riproponendo così la squadra che abbattè il Porcellum. I
lettori del manifesto ne sono a conoscenza da settembre, ma la faccenda è
diventata popolare solo recentemente, quando l’ex presidente della
Corte costituzionale Onida ha riproposto gli stessi argomenti in un
secondo ricorso urgente alla stessa giudice. La decisione è attesa a
giorni, eppure neanche un eventuale rimessione alla Consulta
sospenderebbe il referendum. Né potrebbe sospenderlo la Corte
costituzionale, che ha tempi molto lunghi non solo per decidere ma anche
per fissare l’udienza. A meno che i giudici delle leggi non volessero
accogliere il suggerimento dell’ex presidente Onida per il quale si
potrebbe applicare «per analogia» il potere di sospensione che la Corte
ha quando decide nei conflitti tra poteri dello stato. Ipotesi che lo
stesso Onida ha proposto in maniera assai cauta nel suo ricorso.
Fuori
da questa eventualità solo il governo potrebbe far slittare il
referendum, con il consenso del presidente della Repubblica, per ragioni
di opportunità in pendenza del giudizio della Consulta. Non per il
terremoto. Ma a questo punto è il No che non accetta il rinvio.