il manifesto 2.11.16
Un’amica e una compagna
Tina Anselmi partigiana
di Luciana Castellina
Un’epoca
in cui l’organizzazione giovanile democristiana era fortemente
influenzata dalla sua corrente di sinistra e fra noi giovani comunisti e
loro ci si annusava sospettosi ma anche interessati. Ho ancora fra le
foto che conservo in un pannello sulla mia scrivania quella di una cena –
a Trento – in occasione del loro congresso cui io avevo assistito come
«ospite» per conto della nostra federazione. Siamo ambedue giovanissime,
Tina solo due anni più di me, abbastanza per aver partecipato in prima
persona alla Resistenza nel suo trevigiano, con il nome di battaglia
Gabriella. Entrò nelle sue file – mi raccontò – dopo aver assistito all’
assassinio di 31 partigiani. Diventammo quasi amiche, io credo che ci
siamo sentite in qualche modo «compagne», se a questa parola si dà il
significato dovuto e che tutt’ora io le do: non la comune appartenenza
ad una organizzazione, ma a un comune sentire. Perché così è stato con
Tina.
Un giorno la invitai a pranzo a casa e la presentai a mia
figlia che aveva pochissimi anni. Quando le dissi che era democristiana
Lucrezia mi guardò inorridita: dei democristiani lei aveva sempre
sentito dire il peggio e non capiva come fosse possibile che una di loro
mettesse piede a casa nostra e conversasse con me come una persona
normale. Io e Tina, dello sguardo scandalizzato e perplesso di mia
figlia ridemmo di cuore, Lucrezia rimase invece a lungo diffidente.
Poi
lei diventò deputata, mentre io rimasi a lungo militante delle
organizzazioni povere della sinistra: la Fgci, l’Udi, poi il manifesto.
La cosa aveva riflessi ferroviari: la incontravo spesso, nel mio
girovagare, alla stazione di Padova e lei mi diceva: «Vien, vien, che
tiro zo un leto». E così venivo ospitata nel suo vagon-lit , evitando lo
scomodissimo sedile dello scompartimento cui il mio biglietto mi
destinava.
Non voglio dire qui che tutti i dc erano come Tina.
Purtroppo no. Lei è stata una persona davvero speciale, ma che aveva
comunque un tratto analogo a quello di un settore di quel maledetto
partito che tanto abbiamo – e giustamente – combattuto. Una sua ala
popolare e in qualche modo anticapitalista. No, non ho certo nostalgia
della Dc, né del compromesso storico, che purtroppo fu un’intesa con ben
altra Dc. (Ma forse anche voi lettori vi ricorderete che Luigi Pintor
per molti anni metteva sempre un postscriptum ai suoi editoriali, per
dire, sconsolato: «Moriremo democristiani». All’ultimo, ricordo, aveva
aggiunto: «Magari»). Anche se i miei ricordi personali di Tina sono
precedenti al suo ingresso nei governi Andreotti, vorrei aggiungere che
sono stata molto contenta quando è diventata ministro. Come capo del
dicastero della sanità, Tina contribuì infatti non poco a dare esito
positivo alla lunga lotta per l’istituzione in Italia del Servizio
sanitario nazionale. Se posso aggiungere una considerazione che si
riferisce ad una questione politica calda, il referendum costituzionale
(cosa che di solito non si fa nel contesto di una commemorazione
funebre) vorrei aggiungere che quella vittoria popolare, fu possibile,
come altre in quegli anni – statuto dei lavoratori, divorzio, aborto,
ecc. – perché c’erano spazi per l’espressione dei conflitti e canali
affinché trovassero riflesso nelle istituzioni. La forza
dell’opposizione sociale, accompagnata alla presenza di una forte
minoranza in parlamento a quella strettamente legata ai movimenti di
lotta, consentì quella dialettica democratica che sfociò in compromessi
anche molto avanzati (e che non a caso oggi siamo qui a difendere coi
denti). Alla democrazia – e dunque alla società – non serve un esecutivo
reso efficiente dall’assenza di intralci – ma un conflitto tanto forte
da imporre un dialogo. Certo il dialogo con Tina è stato altra cosa che
quello con Andreotti. Ma lei era una «compagna».