il manifesto 2.11.17
Perché Renzi perde anche se a vincere sarà il Sì
Referendum.
Ad avvantaggiarsi della devastazione della Carta sarebbe con ogni
probabilità il M5S, che già oggi diversi sondaggi danno come primo
partito in Italia
di Alberto Burgio
La battaglia
in difesa della Costituzione antifascista si avvale di argomenti
fortissimi di natura giuridica e politica, e anche di ragioni per dir
così caratteriali. Matteo Renzi si è rivelato (per molti confermato) una
seria minaccia per il periclitante equilibrio dei poteri.
Un
equilibrio già insidiato da oscene leggi elettorali, pessimi regolamenti
e prassi parlamentari e altre improvvide modifiche costituzionali,
oltre che dallo spirito di tempi antipolitici inclini a scorciatoie
carismatico-plebiscitarie. Non senza un apparente paradosso.
Difficilmente l’Uomo forte potrebbe oggi, soprattutto in un paese
periferico, contrastare l’erosione della sovranità nazionale da parte di
poteri sovranazionali, pubblici e privati. Ma proprio il sentore di
questa incontrollata perdita nutre il bisogno di certezze e di vigore
nella decisione politica che il complesso apparato delle democrazie
costituzionali tende invece a frustrare.
GLI ARGOMENTI A FAVORE
del No sono tutti essenziali e più che sufficienti – in linea di
principio – a puntellare l’unica possibile scelta di ragione e di salute
pubblica in occasione del referendum confermativo. Tant’è che resta in
fondo misterioso nelle sue motivazioni l’atteggiamento di chi propende
per il Sì. Non sembrano decidere, tra la massa dei favorevoli alla
«riforma», considerazioni politiche (l’opzione per un centrosinistra
sempre più disgregato e incoerente) né, tanto meno, valutazioni
istituzionali, al di là dei frusti slogan governativi sulla
semplificazione che spudoratamente ammiccano al qualunquismo diffuso.
Anche in questo caso l’aspetto caratteriale sembra determinante.
Renzi
è stato criticato da Napolitano per l’eccesso di personalizzazione
della campagna referendaria ma non è certo che sia, questa, una critica
fondata. La realtà è che tutti in Italia sentono che il referendum è
sulla figura del presidente del Consiglio, e non c’è al riguardo
contromisura che tenga. Le sorti del Sì (come peraltro quelle
contrapposte) dipendono in larga misura da un fattore idiosincratico
legato al personaggio. «Mi piace» (o «non mi piace») Renzi è la domanda
che terrà banco il 4 dicembre.
E la ripresa del lessico dei social network è da considerarsi tutt’altro che casuale.
EPPURE
PROPRIO a tal proposito si pone una questione che tende a sovvertire
questa prospettiva, a svuotarla di senso. Una questione che, mentre
drammatizza ulteriormente il referendum, pone in tutta evidenza i limiti
di Renzi sul terreno decisivo della strategia politica.
RENZI È
UN EGOCENTRICO, oltre che un politico sicuro di sé oltre il limite della
supponenza. Molti suoi comportamenti sono tipici della personalità
narcisistica e l’ultimo suo delirio – quello di un destino che lo
porrebbe alla guida del Grande cambiamento – sembra tradire il
manifestarsi di un Sé «grandioso e onnipotente». Tutto ciò si traduce in
spavalderia e in temerarietà. Porta con sé il vantaggio di ritenersi
all’altezza di ogni situazione, come quando Renzi presentò alle Camere
il governo parlando a braccio, senza appunti, le mani in tasca nei blue
jeans. Ma genera anche l’inconveniente non proprio trascurabile di non
accorgersi di essere ridicoli, con una mimica da asilo infantile e un
inglese maccheronico. Proprio un tale sentimento deficitario della
realtà è forse alla radice di un altrimenti inspiegabile cortocircuito
nella strategia politica renziana sottesa alla «riforma» e al
referendum.
SI PUÒ DIRE, in due parole, che tra Italicum e
modifiche costituzionali Renzi ha costruito una macchina da guerra che
assicura o quasi la sua sconfitta, quale che sia l’esito del referendum
di dicembre. Se, come speriamo, lo perderà, la sua stella uscirà per
sempre appannata da un fallimento paragonabile a quello di Cameron sulla
Brexit. Se disgraziatamente dovesse vincerlo, la sua sarebbe una
vittoria di Pirro perché ad avvantaggiarsi della devastazione della
Carta sarebbe con ogni probabilità il M5S, che già oggi diversi sondaggi
danno primo partito in Italia e che in tale scenario potrebbe, per
compensazione, incassare nuovi consensi in funzione antirenziana. Con la
sua sconfinata brama di potere e il suo avventurismo narcisistico,
Renzi insomma non rischia soltanto di minare le fondamenta della
democrazia repubblicana. La sua oscena «riforma» minaccia seriamente di
compromettere per lungo tempo le sorti del paese spianando la strada a
un vero e proprio regime populista.