il manifesto 26.11.16
Il sistema di potere del molestatore ciellino «don Mercedes»
Crema. Le motivazioni della condanna a quattro anni e nove mesi per monsignor Inzoli
di Ernesto Milanesi
Quattro
anni e nove mesi «in nome del popolo italiano». Inflitti a monsignor
Mauro Inzoli, 66 anni, carismatica figura di Comunione e liberazione a
Crema e in Lombardia: ex presidente del Banco Alimentare, rettore del
liceo linguistico Shakespare, parroco della chiesa di Santa Trinità,
soprannominato «don Mercedes» a causa della passione per le auto di
lusso, sostenitore da sempre del “celeste” Formigoni. La condanna risale
al 29 giugno scorso per violenze, abusi e molestie sessuali nei
confronti di ragazzi fra i 12 e i 16 anni.
Le venti pagine della
sentenza, redatta dal gup del Tribunale di Cremona Letizia Platè, ora
inchiodano il religioso alle sue responsabilità. Soprattutto perché
negli episodi avvenuti fra il 2004 e il 2008 (risarciti con 25 mila euro
a testa alle cinque vittime, costituitesi parte civile) Inzoli
approfittava «con spregiudicatezza della propria posizione di forza e di
prestigio, tradendo la fiducia in lui riposta dai giovani anche nel
corso del sacramento della confessione». Un comportamento che durava
«fin dalla metà degli anni ’90 con una pluralità indiscriminata di
soggetti, all’epoca minorenni»: solo la prescrizione ha impedito che
l’intero elenco entrasse nell’inchiesta.
L’esito giudiziario,
anche se la difesa ha già richiesto l’appello a Brescia, si deve
esclusivamente all’esposto presentato il 28 giugno 2014 da Franco Bordo,
deputato di SI-Sel. «Le motivazioni dimostrano una volta per tutte il
quadro inquietante non solo per l’inaudita gravità dei fatti, ma
soprattutto per l’estensione del fenomeno e il numero delle vittime,
comprese le tante che non sono citate nella sentenza», commenta.
E
Bordo sottolinea con forza altri due aspetti sintomatici dell’intera
vicenda: «Fatti accertati che si sono consumati nello studio
parrocchiale, nelle vacanze a Falcade e Rimini, nel liceo privato di cui
Inzoli era rettore, nell’albergo di Grosseto e almeno in una delle
“case famiglia” per minori in difficoltà che a lui facevano capo.
D’altro canto, balza agli occhi il clima di omertà intollerabile che
regnava a Crema. Inzoli deteneva una capacità d’influenza e rapporti di
potere: nel 2004 la “segnalazione” da parte delle vittime all’allora
vescovo Angelo Paravisi, citata anche nella sentenza, non produce alcuna
conseguenza…».
Il “caso Inzoli” rappresenta un’indelebile piaga e
una vergogna perenne per i ciellini che si dividono fra la fraternità
religiosa retta da Julián Carrón, il braccio economico della Compagnia
delle Opere, il Meeting di Rimini e la sussidiarietà declinata
soprattutto negli Atenei, nella sanità e nei media.
Nelle venti
pagine della sentenza, si cita l’ambiente di Gioventù Studentesca e si
ricostruisce quanto accadde in altri luoghi-simbolo di CL a Crema.
Inzoli era «una specie di idolo meritevole di venerazione» per ragazzini
violati con «il battesimo dei testicoli» o, peggio, citando Abramo e
Isacco a giustificazione delle violenze sessuali.
Ma
incontrovertibile è il decreto della Congregazione per la dottrina della
fede, reso pubblico il 26 giugno 2014 dal vescovo Oscar Cantoni in una
lettera ai fedeli: «Recepisce quanto Papa Francesco, accogliendo il
ricorso di don Mauro, ha stabilito. In considerazione della gravità dei
comportamenti e del conseguente scandalo, provocato da abusi su minori,
don Inzoli è invitato a una vita di preghiera e di umile riservatezza».
Gli
è inoltre «prescritto di sottostare ad alcune restrizioni, la cui
inosservanza comporterà la dimissione dallo stato clericale». Ma non
basta, perché Inzoli «non potrà dimorare nella Diocesi di Crema,
entrarvi e svolgere in essa qualsiasi atto ministeriale» e per di più
«dovrà intraprendere, per almeno 5 anni, un’adeguata psicoterapia».
Ma
ad agosto Inzoli si presenta, come sempre, al Meeting ciellino di
Rimini. E a gennaio 2015 si accomoda al Pirellone di Milano in seconda
fila – giusto alle spalle di Maroni, Formigoni, Cattaneo e Cristina
Cappellini – al convegno omofobo “griffato Expo” ad applaudire Luigi
Amicone, direttore del settimanale ciellino Tempi, e Mario Adinolfi
all’epoca pronto a lanciare il quotidiano La Croce.
E una volta
aperta l’inchiesta “italiana”, il Vaticano aveva opposto il “sub secreto
pontificio” alla richiesta della magistratura di Cremona di ottenere la
documentazione sulle violenze sessuali. Non è bastato a evitare la
condanna a Inzoli, con la pubblicazione della sentenza che imbarazza non
soltanto i ciellini.