il manifesto 25.11.16
Un nuovo municipalismo salverà l’Europa
Laboratorio
Berlino. Ci sono tutte le condizioni per fare dell’inedita maggioranza
di sinistra (Spd+Linke+Verdi), che si appresta a governare la città, un
vero e proprio cantiere d’innovazione politica
di Beppe Caccia
L’accordo
programmatico – raggiunto la scorsa settimana tra Spd, Linke e Verdi
per la nuova coalizione di governo nel Senat di Berlino – merita di
essere letto in una più ampia prospettiva, cruciale per chi desideri una
radicale trasformazione della società e della politica in Europa.
«Le
nostre città dispongono delle conoscenze, del valore della prossimità e
delle forze dell’intelligenza collettiva per affrontare problemi
globali». Così, recentemente, Ada Colau, Manuela Carmena e Anne Hidalgo,
le tre sindache di Barcellona, Madrid e Parigi, hanno chiesto che non
siano più gli Stati nazionali, ma le città a essere dotate delle risorse
finanziarie e dei poteri necessari per poter rispondere a sfide quali
le crescenti diseguaglianze sociali, la minaccia dei cambiamenti
climatici, l’accoglienza di persone in fuga da guerre, persecuzioni e
miseria.
Non a caso si parla oggi di “città ribelli”: sulle coste
del Mediterraneo ma non solo, una politica alternativa di governo locale
si presenta come possibile evoluzione delle lotte contro l’austerity,
la precarietà e l’impoverimento di massa. E là dove funziona, si rivela
antidoto efficace alla crescita aggressiva di destre populiste e
nazionaliste, come il Front National o l’Afd, insomma alle pericolose
derive dei trumpisti d’Europa.
È in questo quadro che bisogna
collocare anche il risultato elettorale del settembre scorso a Berlino,
con la consistente emorragia di voti dalle forze delle larghe intese
(Spd e Cdu) certo verso i populisti di destra, ma soprattutto a favore
della sinistra. La sconfitta del “grande centro” neo-liberista, proprio
nella capitale de facto dell’Europa a trazione tedesca, è figlia
dell’incapacità delle Große Koalition di dare, dopo otto anni di crisi,
risposte adeguate alle contraddizioni che attraversano le metropoli.
Tagli al finanziamento delle autorità locali, privatizzazioni dei
servizi pubblici, incentivi ai soli affari del capitale estrattivo si
sono rivelati una “cura peggiore del male”, con devastanti effetti
negativi proprio sulla coesione sociale delle nostre città.
Scriveva
Mark Twain nel suo diario di viaggio del 1892: «A Berlino ho visto il
futuro. È la città più nuova che abbia mai visitato. Al confronto
Chicago sembra antica». Come la Chicago alla fine del XIX secolo,
Berlino è luogo di esclusione sociale e d’inclusione differenziale e
gerarchica, dove prendono corpo le peggiori distopie del “capitalismo
delle piattaforme”. Ma è anche innervata da un ricco tessuto di lotte
per i commons, per il “diritto alla città” come accesso a bisogni
fondamentali quali l’acqua e l’energia, la casa e l’istruzione, spazio
attraversato da una miriade d’iniziative di cooperazione solidale e
produzione culturale. È terreno di un cosmopolitismo conflittuale che
non contempla compiaciuto la favola bella del “multiculturalismo”, ma
combatte ogni giorno per strappare una nuova universalità di diritti.
Insomma,
vi sono tutte le condizioni per fare dell’inedita maggioranza di
sinistra, che si appresta a governare la città, un vero e proprio
laboratorio d’innovazione politica. Per dirla con Colau, Carmena e
Hidalgo, a Berlino come altrove le “intelligenze collettive”, nei
movimenti e nella sinistra, non mancano. E una dialettica aperta fra di
esse, al tempo stesso conflittuale e costituente, potrebbe preparare il
terreno per la costruzione di alleanze transnazionali tra città. Per
esempio a partire da iniziative per l’accoglienza dei migranti o da
campagne mirate a rompere la gabbia del debito e dei vincoli finanziari,
che siano in grado di contribuire al rovesciamento di segno delle
politiche oggi dominanti in Europa.