il manifesto 25.11.16
Franceschini e l’articolo 9 rimasto sotto le macerie
di Tomaso Montanari
Pale
d’altare (spesso straordinariamente importanti), sculture, oreficerie,
arredi. Mentre il ministro Dario Franceschini farneticava di «caschi blu
della cultura», non succedeva assolutamente nulla.
E dopo la
terribile scossa del 30 ottobre, ancora nulla: fino a che i sindaci non
hanno invocato a gran voce il diritto di fare da soli. È quel che il
commissario Vasco Errani ha concesso: tornando indietro di oltre un
secolo, è passata l’idea che non ci sia bisogno di tecnici per gestire
le emergenze del patrimonio culturale. Come far operare al sindaco un
ferito grave, perché l’ambulanza, da giorni, non arriva.
E così
oggi ammiriamo le ruspe sui cumuli degli affreschi, e vediamo che sono i
carabinieri (peraltro eroici, come sempre) a portar via le opere mutile
dalle chiese in rovina. Così: adagiandole sui prati bagnati, senza fare
una fotografia, senza mezzi speciali, senza alcun protocollo. Così,
come se fossimo non l’Italia – patria della più avanzata tutela del
patrimonio –, ma l’ultimo fra i più barbari dei paesi.
Ma com’è possibile che siamo arrivati a questo punto di non ritorno?
È
stata una scelta precisa, perseguita con tenacia. Come ha detto qualche
giorno fa Maria Elena Boschi – trovandosi in perfetto accordo con
Matteo Salvini, sulle poltrone di Porta a Porta –: «Abbiamo fatto una
riforma della pubblica amministrazione per ridurre le complicazioni sul
territorio. Va benissimo darsi altre sfide, io sono d’accordo diminuiamo
le soprintendenze, lo sta facendo il ministro Franceschini. Aboliamole,
d’accordo, lavoriamoci dal giorno dopo: disponibilissimi a discutere di
tutto».
Una volta tanto la Boschi ha detto la verità: la riforma
Franceschini (una riforma concepita in odio alle soprintendenze, su
mandato di un presidente del Consiglio che ha scritto che
«soprintendente è la parola più brutta del vocabolario della
burocrazia») ha dato il colpo di grazia alla tutela. Le soprintendenze
cosiddette “olistiche”, la disarticolazione degli archivi delle vecchie
soprintendenze, il rimescolamento deliberato di un personale che oggi si
trova a tutelare un territorio che gli è ignoto, il dirottamento di
tutti i fondi sui «grandi attrattori turistici», lo sbilanciamento
estremo verso la valorizzazione (con il tentativo di introdurre in
Costituzione anche il concetto di “promozione”, affidandolo alle
Regioni), la sottoposizione ai prefetti, il mancato turn over (i 500 che
prenderanno servizio nel 2017 non basteranno neanche a rimpiazzare
l’ultima ondata di pensionamenti, e in Umbria c’è oggi un solo
archeologo!). Tutto questo, unito all’atavica carenza di fondi e di
personale, ha condotto al disastro che è sotto gli occhi di tutti.
Dario
Franceschini ha smantellato la tutela pubblica del patrimonio: attuando
così il programma di un governo che, simultaneamente, smantella la
scuola pubblica, i diritti dei lavoratori, la Costituzione stessa. Ma in
questo caso c’è stato un imprevisto: il terremoto, che ha svelato
troppo presto che il sistema della tutela, semplicemente, non esiste
più. Passata l’emergenza, d’altra parte, si farà leva anche su questo
tragico tornante: e si dirà che se i sindaci sono stati capaci di
gestire l’emergenza, allora potranno a maggior ragione governare la
tutela ordinaria. E così finalmente si potranno chiudere le
soprintendenze.
La testa di Sandro Bondi rotolò per un danno
infinitamente meno grave di quello ora provocato dalle scelte scellerate
di Dario Franceschini: ma quest’ultimo gode di una vastissima
indulgenza mediatica, dovuta al fatto che, controllando ancora i gruppi
parlamentari del Pd, viene considerato una riserva strategica per il
dopo 4 dicembre, comunque vada. Dovremmo, tuttavia, ricordarci, con
Voltaire, che «i particolari e i congegni della politica cadono
nell’oblio, ma le buone leggi, le istituzioni e i monumenti prodotti
dalle scienze e dalle arti sempre sussistono».
Ebbene, se vogliamo
che il nostro patrimonio culturale abbia qualche speranza di sussistere
ancora, è vitale e urgente cambiare ministro, e cambiare politica.
Anche su questo si vota, il 4 dicembre.