il manifesto 25.11.16
«La terra dei Masai» di Elisa Montessori
In
mostra a Roma, fino al prossimo 14 gennaio alla Galleria Monitor, nella
personale dell'artista dal titolo «Ogni cosa è un’altra»
di Alberto Olivetti
«La
terra dei Masai» conta due metri al bordo e si estende nel suo tenero
color nocciola per tre metri e quaranta: «attraverso la pianura l’erba
alta fugge davanti / all’aria che spira, / nella solitudine la pianura,
il vento, il cuore, / giocano insieme», ha scritto Karen Blixen. Sulla
vasta carta di lino ‘giocano insieme’ – in un assiduo intreccio d’erbe,
diresti – aste variamente inclinate di pastello ardesia e antracite e
listelli brevi a carboncino e fumi ventosi di rarefatto gesso bianco.
«Per arrivare là, ci avverte Blixen, si attraversa una catena montuosa
ed è un viaggio molto duro, ma poi la desolata distesa di cespugli
lascia il posto alla prateria, e ti trovi in mezzo a un magnifico
panorama di montagne blu, e davanti a te gli altipiani».
Elisa
Montessori, nel disporsi a sua volta a intraprendere un viaggio verso la
terra dei Masai, fa tesoro delle indicazioni di Karen. Così, quando, da
un punto di vista rilevato, si affaccia sulla terra dei Masai può con
lo sguardo librarsi fino a lambirne le estreme lontananze; Elisa che, in
questa pittura spaziosa, dall’alto del suo osservatorio, consente
libero agio «all’aria che spira». Le vaste pianure de «La terra dei
Masai», dallo scorso 16 novembre fino al prossimo 14 gennaio, si aprono
sull’intonaco bianco d’una parete della Galleria Monitor, in via
Cesarini Sforza, a Roma. Infatti «La terra dei Masai» – presentata alla
Biennale di Venezia nel 1982 – è una delle sedici opere che Montessori
ha scelto di esporre in questa sua personale «Ogni cosa è un’altra»,
intesa a dar conto di un arco della sua costante, splendida ricerca dal
1976 («14142×14141=2 square meters of art», inchiostro su cartoncino,
collage di fotografie) al 2015 («Kew Garden», cellophane, pennarello
nero). «Da sempre io ho fantasticato sulla portata iconografica e
linguistica delle cose, dice Montessori. Già da giovane lo facevo e
molti titoli di lavori miei sono derivati dalle mie letture, ricerco una
poetica non solo nell’immagine. All’epoca dei grandi disegni su carta
ho anche prediletto certe connotazioni geografiche nei titoli»: e si
tratta, precisa, di «posti dove non sono mai andata: creavo così delle
catene di immagini mentali associate e spaesanti».
Sembra ormai
maturo il tempo per impostare un discorso circostanziato sulla pittura,
oggi, dopo alcuni decenni nel corso dei quali ha prevalso, dominante, il
convincimento che bene fosse generalizzare in un convenuto (debole fino
alla banalizzazione) concetto di «artisticità» l’assunto specifico e
peculiare delle singole arti. Mi pare di nuovo, e fortemente, avvertita
l’esigenza di distinguere, precisare, puntualizzare nell’intento di
prendere in esame le peculiarità costitutive della pittura a lungo
revocate in dubbio e, per lo più, trascurate o rese scialbe e
insignificanti.
Richiamo due locuzioni con le quali Montessori
indica una scaturigine della sua ricerca pittorica: fantasticare «sulla
portata iconografica e linguistica delle cose» e creare «catene di
immagini mentali associate e spaesanti». Ardue dichiarazioni di poetica
che, per non essere facilmente fraintese, vanno pensate dall’interno,
per dir così, della singola pittura realizzata. E comprese e verificate,
allora, nella forma ‘iconografica’ e nella valenza ‘spaesante’ che
nell’opera singola di pittura si realizza. Potremo solo allora, per
stare alla «Terra dei Masai», trasfigurare le parole di Blixen nel
‘portato’ d’immagine di Montessori: «la discesa al fiume nella fitta
boscaglia umida tra l’erba alta e bagnata era ripida e sassosa, ma i
Masai conoscevano una strada migliore di quella che io facevo a cavallo,
e quando raggiungemmo il fiume gonfio di pioggia mi portarono in
braccio dall’altra parte».