il manifesto 24.11.16
Turchia, i timori dell’opposizione per lo stop al dialogo
di Mariano Giustino
ANKARA
«Un voto del Parlamento europeo sul congelamento del negoziato di
adesione della Turchia all’Unione europea non avrà alcun valore per noi,
qualunque sia l’esito». Sono queste le secche parole che ha pronunciato
ieri il presidente turco Erdogan, mentre a Strasburgo gli
europarlamentari erano riuniti per dibattere su una risoluzione che
propone la sospensione dei negoziati di adesione della Turchia.
Il
voto sulla risoluzione è previsto per oggi e se dovesse essere
approvata potrebbe congelare temporaneamente i negoziati di adesione.
Solo due giorni fa il presidente turco aveva fatto espliciti riferimenti
a una possibile richiesta d’ingresso nell’associazione della
Cooperazione di Shangai di cui fanno parte Russia, Cina, Kazakistan,
Kirghizistan e Tajikistan, nella quale Ankara al momento è considerata
un partner a livello di dialogo.
Sono dieci
anni che il negoziato è bloccato da veti di alcuni paesi dell’Unione e,
dunque, pensare di congelare un negoziato già di fatto bloccato da un
decennio è del tutto ridicolo e irresponsabile. Non fosse altro perché
non vi è più niente da bloccare; è già tutto fermo. Su 35 capitoli
negoziali, dal 3 ottobre del 2005, giorno dell’avvio del negoziato, uno
solo è stato chiuso. Mentre, dal 1999 al 2006, Ankara aveva varato ben 8
pacchetti di armonizzazione del proprio ordinamento giuridico civile e
penale, grazie all’agenza riformatrice imposta dall’Ue nel percorso di
integrazione. Quel periodo di intensa attività riformatrice veniva
definito allora dalla stampa e dall’establishment come una «Rivoluzione
per l’Unione europea».
In quegli anni, il
comportamento dell’Ue nei confronti della Turchia fu demenziale, bloccò a
monte il negoziato dopo averne votato l’avvio all’unanimità apponendo
veti a 17 capitoli. Il leader storico del Parito radicale, Marco
Pannella, recentemente scomparso, già nel 2004, prima dell’avvio dei
negoziati d’adesione, ammoniva: «Non intendiamo aspettare dieci anni
l’ingresso della Turchia, l’urgenza di avere Ankara tra le capitali
europee esiste ʺfin da ieriʺ e oggi non possiamo sapere che cosa saranno
la Turchia, il Mediterraneo e l’Europa nel prossimo decennio». Parole
profetiche.
E anche ora che l’opposizione
nel paese sta subendo un massacro e invoca l’apertura di quei capitoli
sui diritti umani, l’Ue dimostra una totale chiusura e indifferenza alle
suppliche esternate in tutte le sedi dal leader del maggior partito
d’opposizione del paese, il socialdemocratico Kemal Kılıçdaroglu,
presidente dello storico Partito repubblicano del popolo Chp, fondato da
Mustafa Kemal Atatürk.
«Perché non li
aprite? Noi vogliamo una magistratura indipendente. Aprite
immediatamente i capitoli 23 e 24! L’abbiamo detto in tutti i modi, a
tutti, in Occidente e in Europa. Che comincino subito i negoziati!», ha
detto Kılıçdaroglu al settimanale tedesco Die Zeit. Parole già
pronunciate in un incontro avuto con l’ex primo ministro svedese Carl
Bildt e con il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz.
Parole
che altri esponenti del Partito repubblicano del popolo, così come i
leader del Partito di sinistra libertaria e filocurdo (Hdp) hanno
ribadito alla delegazione del Partito socialista europeo che si è
recentemente recata in missione in Turchia in seguito agli arresti di
dieci parlamenti dell’Hdp.
Storicamente il
movimento curdo è stato da sempre il più forte sostenitore dell’ingresso
della Turchia nell’Unione europea e lo stesso leader carismatico
condannato all’ergastolo, Abdullah Öcalan, si è spesso espresso in
passato per l’integrazione. Lo stesso programma elettorale del partito
filocurdo HDP aveva posto al centro della sua agenda politica l’adesione
all’Ue.
Non passa giorno che le opposizioni
in Turchia non si dichiarino contrarie all’arresto del dialogo con
l’Unione europea. Ritengono che la mancata riapertura del negoziato
rafforzi Erdogan che sta giocando all’interno del suo paese la carta
antioccidentale e antieuropeista intrisa di una retorica nazionalista
per chiamare in suo sostegno tutto l’elettorato deluso dal comportamento
dell’Ue. Temono che il congelamento del negoziato li isoli ancor di più
consegnandoli definitivamente alla repressione che il presidente turco
ha scatenato per liberarsi di ogni dissenso.
Aprire
i capitoli negoziali non significa accesso immediato, ma si aprirebbe
un essenziale spazio politico di confronto in cui l’Ue potrà ingaggiare
un dialogo serrato e critico con il governo e con la società civile
turca sui diritti umani, sullo stato di diritto e sulla democrazia.
Abbandonare dunque unilateralmente il rapporto con questo paese sarebbe
una atto di grave irresponsabilità e di assoluta mancanza di
intelligenza strategica, e un disastro per l’Ue e per la Turchia, in
particolare per l’opposizione democratica del paese.