Corriere 24.11.16
Il ministro iraniano: «L’accordo sul nucleare non è solo con gli Usa»
intervista di Carlo Vulpio
ROMA
Per la prima volta dopo la fine dell’embargo, durato 37 anni, l’Iran
torna in Occidente con il proprio «Paese reale», 200 imprese di tutti i
settori che fino al 26 novembre saranno alla Fiera di Roma. «La
circostanza è storica — dice il “numero 2” del governo iraniano,
Mohammad Reza Nematzadeh, ministro dell’Industria, miniere e commercio —
perché la fine dell’embargo è un successo per noi e per il resto del
mondo».
Ministro Nematzadeh, in realtà
questa non è la prima volta che l’Iran sceglie l’Italia. Anche l’allora
premier Mousavi, dopo la fine della guerra con l’Iraq nel 1988, venne a
Roma a dire che «abbiamo scelto l’Italia per riallacciare i rapporti con
l’Europa». Perché l’Iran sceglie sempre l’Italia?
«Perché
i rapporti tra Italia e Iran sono antichi, millenari, come le loro
culture. E poi perché l’Italia è stata presente in Iran anche nei
momenti più difficili».
Quanto ha contato in
questo senso l’esperienza in Iran dell’Eni di Enrico Mattei, che voleva
per il vostro Paese non solo il 70% delle royalties del petrolio ma
anche la partnership tra le vostre imprese e quelle italiane?
«Moltissimo.
La nostra gente se ne ricorda e gliene è riconoscente. Anzi, ci
auguriamo che l’idea di Mattei della partnership venga ripresa, è questo
che vogliamo fare con l’Italia e vogliamo che l’Eni torni a lavorare in
Iran».
Lo storico iraniano Ervand
Abrahamian scrive che «l’Iran è entrato nel ‘900 con i buoi e l’aratro
di legno e ne esce con un programma nucleare». Ma non sono trascorse 24
ore dall’elezione di Donald Trump, che il direttore nominato della Cia,
Mike Pompeo, ha detto che una delle prime cose da fare è rivedere
l’accordo con l’Iran sul nucleare. Cosa ne pensa?
«Credo
che Trump sia più preoccupato per il muro alla frontiera del Messico e
non abbia il tempo di occuparsi anche del nucleare iraniano (sorride,
ndr). L’accordo sul nucleare è stato raggiunto tra l’Iran e la comunità
internazionale, non solo con gli Stati Uniti, e l’Iran ha rispettato
tutte le condizioni. L’Iaea (l’Agenzia internazionale per l’energia
atomica) ha riconosciuto che l’Iran lavora a un uso civile dell’energia
atomica».
L’Iran ha una lunga storia di
ingerenze: britannica, russa, americana. Gli stessi Stati Uniti hanno
riconosciuto che il colpo di Stato del 1953 che rovesciò Mossadeq fu
opera della Cia. Ritiene che oggi esista il rischio di ingerenze
straniere?
«Il motto principale dell’Iran e
degli iraniani è “indipendenza, libertà e tolleranza”. Le nostre sono
elezioni libere. Dunque, non le temiamo».
Lei
pensa che nonostante il mezzo milione di iraniani trapiantati negli
Stati Uniti, ci siano ancora resistenze da parte americana?
«Credo
che gli Stati Uniti spesso sbaglino a individuare i loro nemici. Che
non siamo noi, ma, come dimostrano i fatti, quelli che io definisco
gruppi perversi, come l’Isis e i talebani. Noi lo abbiamo sempre detto
agli Usa e all’Europa che questi erano terroristi. Ma gli Usa
appoggiavano Bin Laden e il presidente Bush (nel 2002, ndr) includeva
l’Iran nel cosiddetto “asse del male”. Eppure, nello stesso periodo,
erano iraniani i film più incisivi che con linguaggio artistico facevano
conoscere al mondo le “imprese” dei talebani, come per esempio “Viaggio
a Kandahar”, del regista Makhmalbaf. Evidentemente, gli americani non
hanno appreso la lezione dai loro errori e hanno permesso che crescesse
l’Isis. Oggi, con ritardo, tutto il mondo ha capito che avevamo ragione,
e che aveva ragione il nostro presidente Rouhani quando tre anni fa,
all’Onu, disse che il mondo è in pericolo e bisognava combattere il
virus della violenza e del terrorismo».
Finito
l’embargo, tornerete ad avere relazioni commerciali con tutto il mondo.
Questa opportunità varrà anche nei confronti di Israele?
«Noi
abbiamo e vogliamo avere relazioni amichevoli con tutti i Paesi del
mondo, tranne con quelli razzisti e che non rispettano le convenzioni
internazionali. Con il Sudafrica, per esempio, non avevamo rapporti. Ma,
caduto l’apartheid, li abbiamo riallacciati. Persino con l’Iraq, che
pure ci ha invaso e tenuto sotto attacco per otto anni, abbiamo ripreso i
rapporti una volta che l’Iraq ha cambiato atteggiamento nei nostri
confronti. Tanto che recentemente due milioni di sciiti iraniani sono
andati in pellegrinaggio in Iraq, alla moschea dell’imam Alì. Per
Israele vale lo stesso principio. Quindi, finché non rispetterà il
popolo palestinese noi non avremo relazioni commerciali con Israele».
Questo vale anche per l’Arabia Saudita?
«No.
Anche se Arabia Saudita e Israele sono d’accordo tra loro su molte
cose. Per esempio sono entrambi contrari all’accordo sul programma
nucleare iraniano. Ma speriamo che anche loro riconoscano i propri
errori».
Ritiene che in Iran vengano rispettati i diritti umani, per noi europei valore inderogabile?
«Ritengo
di sì. Certo, non tutto è stato perseguito con la necessaria forza e
determinazione, ma sono convinto che la strada è quella riformista
tracciata dall’ex presidente Khatami, che ideò e avviò anche il dialogo
interculturale e il dialogo interreligioso. Ma le dirò di più. La nostra
Costituzione e le nostre leggi prevedono la totale uguaglianza tra uomo
e donna, tra musulmani e non musulmani. E mentre noi abbiamo ratificato
la Convenzione Onu per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione
contro le donne, gli Stati Uniti non lo hanno ancora fatto».