il manifesto 19.11.16
Arrivano i barbari. L’ultima ridotta del Sì
di Francesco Pallante
Disperati
per la mancanza di credibili argomenti di merito, i sostenitori del Sì
sono ripiegati nella loro ultima ridotta: occorre comunque votare a
favore della riforma, anche se si tratta di un cambiamento peggiorativo,
perché altrimenti cade il governo e arrivano i barbari (variamente
incarnati da Grillo o Salvini).
Il ragionamento è sorprendente. E
non tanto perché, se davvero il Paese è costretto al bivio tra una
riforma dannosa e un populismo pericoloso, occorrerebbe anzitutto
chiamare a risponderne chi – Renzi – lo ha irresponsabilmente messo in
questa condizione. Davvero sarebbe una consolazione rimanere nelle mani
di una persona tanto incapace e spregiudicata?
Ma, soprattutto, la
posizione sorprende perché, per evitare un pericolo ipotetico ed
evitabile oggi, crea un pericolo reale e inevitabile domani.
Iniziamo
dal primo. Nessuno può realmente sapere cosa accadrà il 5 dicembre in
caso di vittoria del No, se Renzi si dimetterà o resterà al suo posto.
In questi giorni sta cercando in tutti i modi di drammatizzare la
situazione, ma quale realmente sarà il quadro politico all’indomani del
referendum, quale la posizione delle diverse forze politiche, quali i
convincimenti del Presidente della Repubblica è impossibile prevederlo.
Molto dipenderà anche dalla misura della sconfitta del Sì, perché,
qualora fosse limitata, Renzi potrebbe pur sempre rivendicare un
risultato superiore rispetto all’attuale consistenza del suo partito. Il
punto fondamentale, in ogni caso, è che con la prevalenza del No
occorrerà riscrivere le leggi elettorali per Camera e Senato, essendo il
quadro elettorale attuale calibrato sulla vittoria del Sì. Sul tavolo
c’è già la proposta dei 5 Stelle, molto ben congegnata dal punto di
vista tecnico e, soprattutto, largamente connotata in senso
proporzionalistico (sia pure con soglie di sbarramento implicite
piuttosto elevate). Anche Forza Italia, attraverso Silvio Berlusconi, ha
lasciato intendere una propensione per la proporzionale. Se anche il Pd
muovesse in questa direzione, svaporerebbe qualsiasi rischio che una
eventuale vittoria delle forze populistiche possa tradursi in un loro
governo incontrastato, perché la loro consistenza elettorale è ben
lontana dalla maggioranza assoluta dei consensi. È questo che ci si
aspetta da una forza politica responsabile: che, una volta individuato
un pericolo, metta in campo le strategie atte a scongiurarlo. Tanto più,
se si tratta di strategie a portata di mano… Detto più nettamente, se
vincesse il No nessun panico è giustificato: si faccia una riforma
elettorale sul modello proporzionale e si torni al voto. Quale che sarà
il risultato, nessuno avrà le leve del potere a sua completa
disposizione.
Tutto il contrario se vince il Sì. Il cambiamento di
Costituzione creerebbe infatti un’incredibile concentrazione di potere
nelle mani del partito di maggioranza e, in particolare, del suo “capo”,
che si ritroverebbe alla guida sia del governo sia della maggioranza
parlamentare. L’esecutivo, vero nuovo fulcro del sistema, otterrebbe i
poteri necessari a condizionare sia l’attività del Parlamento (grazie al
voto a data certa) sia l’attività delle regioni (grazie alla clausola
di supremazia affidata al governo anziché, com’era nella Costituzione
del 1948, al Parlamento). Persino l’autonomia degli organi di garanzia –
Presidente della Repubblica, Corte costituzionale, Csm – ne
risulterebbe gravemente compromessa, a causa delle modalità di elezione o
dei vincoli posti alle loro modalità di funzionamento. Insomma: dalla
vittoria del Sì scaturirebbe un sistema del tutto squilibrato, avulso
dalla tradizione del costituzionalismo, più simile a quel che si vede
oggi in Russia o in Turchia che all’assai più ponderato presidenzialismo
statunitense. Certo, con il Sì Renzi resterebbe al suo posto, ma quale
certezza c’è che lo steso accada anche dopo le elezioni politiche del
2018? Lo scenario è apertissimo e nessuna persona di buon senso, dopo
l’elezione di Trump, può escludere a priori una vittoria delle forze
populiste. Un esito che, a quel punto, con il nuovo sistema
costituzionale, metterebbe il vincitore in condizione di governare
l’Italia per 5 lunghissimi anni, senza incontrare ostacoli di sorta.
Ecco
allora che, a prendere sul serio la preoccupazione che vanno esprimendo
i sostenitori del governo, se ne ricava un potente argomento a favore
del No. Chi davvero è preoccupato che le elezioni possano essere vinte
da una forza politica che reputa pericolosa (quale essa sia), chi
davvero teme il ripetersi in Italia di un caso Trump, non può far altro
che votare No, perché il No è l’unica garanzia che, anche se dovesse
vincere il peggior politico del mondo, chi accede al potere non si
troverà in condizione di poter fare quello che vuole.