il manifesto 19.11.16
Renzi sfiatato: «Quelli del No dicono balle sulla riforma»
Governo
del Sì. Premier in confusione, ora è stile vecchia guardia: se perdo
vedremo la situazione politica. Il referendum non è su di me. Fino ad
ora i sondaggi hanno fallito sia alle europee che alle comunali. Non
vedo perché debbano essere corretti proprio ora. palazzo Chigi per i
mille giorni al governo, torna la bandiera europea e il premier fa il
«boy scout». Errori? «Mettendo tre miliardi nella scuola, come abbiamo
fatto a far arrabbiare tutti?»
di Daniela Preziosi
ROMA
Quando si presenta ai giornalisti, al piano nobile di Palazzo Chigi,
Matteo Renzi è visibilmente stanco, «spompo» direbbe lui. E si capisce:
sta per toccare la vetta della centesima iniziativa referendaria, il
contachilometri è impazzito, la giornata è stata un altro tour de force:
ore 10 a Berlino con i leader europei e per l’ultima volta con Obama,
ore 16 a Roma al senato con l’Area Popolare di Alfano e Lupi, ore 17
incontro con il sindaco di Chicago Rahm Emanuel. Qui, siamo alle 18
passate da un po’, è alla conferenza stampa sui mille giorni di governo.
Poi andrà in tv da Lilli Gruber (Otto e mezzo su La7) e e ancora dopo
in tarda serata Bari, un’iniziativa alla Fiera del Levante. Un attivismo
senza pari, una resistenza fisica da fare invidia.
Epperò niente,
i sondaggi sono inclementi. Il premier ha 15 giorni per cambiarli. Ma
ci crede ancora? Nella sala si accendono quattro slide con i risultati
dei mille giorni di governo («mille, come Craxi e come Berlusconi»,
dice). Piccoli numeri, dal primo trimestre 2014 a terzo trimestre 2016.
Che «i gufi» contestano uno a uno: Pil: +1,6%. Rapporto deficit/pil:
-0,4. Debito pubblico: -43 miliardi . Consumi: +3%. Occupati: +656mila.
Tasso disoccupazione: -1,1%. Tasso disoccupazione giovanile: -5,9%.
Produzione industriale: +2,3%. Export: +7,4%. Ma se questi risultati
fossero davvero un successo, perché il No è (sarebbe) sopra di 7 punti?
Nella
sala Renzi ritrova le bandiere europee, sbianchettate per strizzare
l’occhio agli euroscettici. Più tardi si giustificherà: «Ho voluto fare
appello all’identità nazionale. Ora torna la bandiera, ma questa Europa
deve cambiare». La verità è che è indeciso su come dare la caccia agli
indecisi. Invita i cronisti a fargli le domande, ne arrivano poche. Del
resto lui ha fretta e deve riservarsi qualche buona battuta per la tv.
Così la conferenza stampa sbiadisce. In piedi c’è un premier che per la
prima volta non sa che pesci pigliare. Nel dubbio li piglia tutti: « Il
mio compito non è giocare la carta della paura», spiega, ma poi ci
ripensa: «Se vince il Sì sale il Pil, se vince il No sale lo spread».
Vorrebbe essere buonista e rassicurante, e così si dice fiero delle sue
leggi «dell’anima sociale», quelle «da boy scout». E conciliante: «Vedo
un popolo che ha voglia di cambiare ma lasceremo che la democrazia possa
parlare». Poi però, come in un noto cartone per bambini, la sua anima
sociale viene travolta da quella sfottente: «Se vince il no il
vicequestore del senato si terrà il suo stipendio».
Errori
compiuti? Ammette: «Mettendo tre miliardi nella scuola come abbiamo
fatto a far arrabbiare tutti? Ci vuole del talento». Ma ha ancora un po’
di ottimismo in serbo per gli ultimi quindici giorni della campagna
referendaria: «Ci saranno 25, 30 milioni di persone che andranno a
votare e dovranno dire se vogliono un’Italia che cambia», cosa che lui
avverte «forte» «quando giro per il Paese, e un pochino abbiamo girato».
Anche più di un pochino.
E se davvero vincesse il No che farebbe?
Al premier sgorga una risposta da prima repubblica: «Verificheremo la
situazione politica». In mattinata il ministro Franceschini, uno che
quanto a cambi di governo ha un certo know how, in mattinata gli ha dato
un consiglio: se perde il Sì meglio «arrivare a fine legislatura, con
fatica e mandando giù un po’ di amaro».
Nel pomeriggio Renzi era
stato al seminario di Alfano. Che un seminario precisamente non è,
piuttosto una riunione motivazionale per gente abituata a fiutare in
anticipo l’aria, alla ricerca di nuove certezze. Il titolo è di quelli a
sprezzo del ridicolo: «Di riforme si mangia». Lì il premier è davvero a
casa e si consente qualche libertà: «Non dobbiamo evocare le cavallette
ma raccontare che se vince il No, vince il mai», «Si deve dire si o no a
questa riforma no alle balle che dicono su questa riforma». Rievoca il
magheggio con cui è arrivato a Palazzo Chigi: «Ricordo conversazioni in
cui Alfano era convinto che io volevo andare subito alle elezioni, Lupi
lo pensava un giorno sì e uno no. Ma in più di una discussione io
spiegavo che dovevamo andare avanti con Letta e tutti mi ridevano in
faccia, anche Angelino e Lupi. Allo ’stai sereno’ io ero convinto…su
quella storia non riusciremo a convincerli ma prima o poi lo faremo nei
dettagli, abbiamo prove provate che vi stupiranno».
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Sarebbe
un effetto collaterale della sconfitta, nel caso, tornare sui giorni di
quel febbraio 2014 in cui Renzi salì a Palazzo dopo aver giurato che
mai l’avrebbe fatto senza passare per il voto. La prima delle tante
promesse che si sarebbe rimangiato.
Per il futuro oggi giura che
«non farà inciuci». Ma stiano tutti sereni, se dopo il 4 dicembre farà
un passo indietro è solo per farne poi due avanti: «Nel Pd, che vinca il
Sì o il No, partirà la fase congressuale e ci sarà spazio per tutti».