il manifesto 18.11.16
Gli ebrei sfilano a difesa degli islamici. E New York dice no ai rastrellamenti
La
resistenza. Il sindaco De Blasio: «Nessuna caccia ai migranti illegali.
Il problema della città? Il traffico sulla Quinta Avenue»
di Marina Catucci
NEW
YORK Più passano i giorni e più si delineano i fronti di quella che
potrá essere la resistenza americana a Trump. Capofila istituzionale, al
momento, Bill De Blasio, sindaco di New York, che non potrebbe avere
posizioni più antitetiche a quelle del suo concittadino e neo presidente
eletto. Recandosi a un incontro ufficiale alla Trump Tower, mercoledì,
De Blasio ha ribadito a Trump che la cittá che lui amministrata non
accetta i rastrellamenti degli immigrati illegali.
Durante la
breve conferenza stampa seguita all’incontro, il sindaco di New York è
apparso determinato a proseguire su questa linea dura, definendo
l’incontro con Trump produttivo in quanto i punti a lui cari, la difesa
dei suoi concittadini più deboli, erano stati veicolati senza parafrasi e
si è detto preoccupato alla fine, più che per una sua mancanza di
chiarezza, per i problemi di traffico che sta creando l’avere il
presidente eletto come residente del centro di Manhattan, su quella
porzione di 5a avenue costellata di negozi lussuosi. «Non sto dicendo
che Gucci e Cartier siano in cima ai miei pensieri – ha precisato ai
giornalisti De Blasio – ma che non voglio che questa zona diventi un
incubo di traffico per i newyorchesi o per i turisti».
Posizioni
in difesa dei diritti dei propri cittadini nei giorni passati erano
arrivate anche dal governatore dello Stato di New York, Cuomo, dalla
polizia di Denver e di Los Angeles che ha giá precisato che non si
presterá ai rastrellamenti di cui parla Trump.
Intanto le
manifestazioni non si fermano, e giovedì, a Washington e ha New York, si
è svolta la prima manifestazione espressamente contro Bannon, il quale
ha più volte espresso posizioni definibili come razziste. La comunitá
ebrea-americana, dall’elezione di Trump, ha visto comparire in varie
cittá svastiche sui muri e messaggi minatori; l’associazione
IfNotNow.org ha organizzato una marcia che unisce tanto la comunitá
ebraica con quella musulmana e su Twitter ha lanciato l’hashtag
#JewishResistance, dove molti citradini ebrei rassicurano i cittadini
musulmani che non verranno lasciati soli e che ora sono uniti in una
lotta contro la discriminazione.
A New York, giovedì dalle 9 del
mattino, centinaia di giovani ebrei hanno marciato verso la sede della
squadra di transizione di Trump; IfNotNow ha inoltre invitato le
federazioni ebraiche del Nord America a rilasciare una dichiarazione
congiunta contro Bannon e poco dopo giá 1.700 persone avevano firmato la
petizione online e venti organizzazioni ebraiche, tra cui sette
federazioni ebraiche locali avevano rilasciato dichiarazioni contro
Bannon. Per domenica prossima, il gruppo ha in programma un presidio
davanti al gala annuale dell’Organizzazione Sionista degli Stati Uniti,
dove è invitato anche Bannon.
«Da ebreo, da cittadino, da
americano, trovo intollerabile ciò che questa amministrazione, ancora
prima di insediarsi ha sdoganato – dice Seth, uno degli organizzatori
della marcia – i miei bisnonni sono scappati dal nazismo in Germania, e
adesso io qua, nella loro terra di adozione, devo vedere questo scempio
senza fare niente? Noi siamo un target indiretto, ma i miei concittadini
musulmani sono il bersaglio principale, e sai cosa? La storia ha
insegnato a noi ebrei che nessuno è al riparo quando un fascista se la
prende con un gruppo, il razzismo si propaga. È nostro dovere ora essere
al fianco della comunitá musulmana».
Quella della prossima
domenica non è l’unica manifestazione giá in programma, si stanno
preparando fin da ora una serie di contestazioni e cortei per il giorno
dell’insediamento di Trump, il 20 Gennaio a Washington, e per il giorno
immediatamente successivo.
Il 21 gennaio, infatti, è prevista la
Million Women March, una corteo che si prefigge di portare in piazza un
milione di donne che si oppongono alla politica sessista e misogina del
nuovo presidente, non in quanto femministe, ma in quanto esseri umani
che si sentono insultati e che vedono i propri diritti in pericolo.