Repubblica 18.11.16
Tzipi Livni, ex ministra degli Esteri di Israele
Avvocatessa, ha lavorato per i servizi segreti dello Stato
“Amici con Washington anche se c’è Trump Sull’Iran ha ragione lui”
Ma preoccupa il populismo in Europa
intervista di Vincenzo Nigro
Avversari mai. A tutti noi, nella Knesset, interessa l’intesa con gli Usa
L'azione militare. Non c’è alternativa per fermare la minaccia dell’Isis
ROMA.
«Il popolo americano ha parlato, e per il popolo israeliano il rapporto
con gli Stati Uniti, con la loro amministrazione è strategico. Certo,
l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca avrà un effetto sugli Usa,
sull’Europa e sul Medio Oriente, ma è chiaramente troppo presto per
capire cosa sarà. Dico soltanto che l’interesse dei leader politici
israeliani è che la nostra dirigenza abbia un buon rapporto con quella
americana, e per questo lavoreremo anche noi alla Knesset».
Tzipi
Livni, ex ministra degli Esteri di Israele, co-leader oggi di Unione
Sionista (con il Labor party), è super-cauta e super-istituzionale su
quella che per il Medio Oriente è la notizia che terrà banco nei
prossimi 4 anni: l’arrivo di Trump. Livni è a Roma per una conferenza
organizzata da Il Foglio, un giorno di riflessione sulla necessità di
tenere Israele più vicino all’Europa in un Mediterraneo che minaccia
altre crisi anche per lo Stato ebraico.
«Il rapporto con gli Usa è
così cruciale per noi anche perché questo trend di populismo, di
movimenti anti-establishment dilaga in Europa e minaccia di danneggiare
la possibilità dei moderati, delle formazioni politiche tradizionali, di
riuscire a influenzare un’area in trasformazione pericolosa del Medio
Oriente».
Il premier Netanyahu ritiene di avere un buon rapporto con Trump. Lei che cosa ne pensa?
«Io
ripeto che il rapporto con gli Usa è stato e sarà di tutta la società
politica israeliana. Israele si divide in mille modi, ma è unito nel
cercare sostegno a una politica che consolidi il nostro Stato fra mille
difficoltà».
Con il partito di Netanyahu vi siete divisi
drammaticamente proprio l’altro ieri sul voto che legalizza alcuni
insediamenti di coloni su territorio palestinese in Cisgiordania.
«Non
vorrei parlare di questioni nazionali mentre sono all’estero, ma tutti
sanno quali sono le nostre posizioni. In Israele c’è chi crede che la
nostra sicurezza, la certezza della nostra esistenza siano garantite
meglio dalla soluzione “due popoli, due Stati” con i palestinesi. E chi
invece non pensa che questa sia una soluzione, per cui vuole procedere
nel prendere altro territorio. Quel voto è l’anticamera di nuove
annessioni. Questo è un altro colpo alla soluzione dei due Stati, noi
non crediamo sia a favore della sicurezza di Israele».
Torniamo a Trump. Su una cosa è stato chiaro: vuole rivedere l’accordo sul nucleare con l’Iran. Si aspetta che lo farà?
«Non
faccio valutazioni su cosa farà, su come lo farà. Dico una cosa:
insieme tutti i Paesi responsabili, quindi americani, europei, arabi
moderati, sono impegnati in una battaglia sacrosanta scontro il
terrorismo Isis. Ecco, non possiamo dimenticare che l’Iran è uno stato
che fomenta il terrorismo, che lo alimenta sostenendo Hamas e Hezbollah,
due organizzazioni classificate come terroristiche. Il contenimento
dell’Iran è necessario per tutti».
Ecco, la lotta all’Isis. Il prossimo passo sarà la Siria? E poi?
«Insisto
nell’interpretare lo Stato islamico come un esempio di terrorismo
religioso, nel senso che loro credono di agire in rappresentanza
dell’Islam, cosa che è del tutto falsa, perché i primi ad essere colpiti
dall’Isis sono proprio gli islamici. Ma agiscono con una folle
motivazione religiosa che rende la loro azione terroristica senza
ritorno. Per cui non c’è alternativa all’azione militare per fermarli.
Ma oltre questo deve esserci un’azione politica per stabilizzare le
tensioni nell’area, per evitare il riprodursi di condizioni che
creeranno un nuovo Stato islamico magari qualche mese dopo che la
comunità internazionale lo avrà distrutto».