giovedì 17 novembre 2016

il manifesto 17.11.16
Cuba, indulto a 787 detenuti e manovre militari
L'Avana. I rapporti con gli Usa dopo l'elezione di Trump
di Roberto Livi

L'AVANA Un indulto per 787 detenuti e l’inizio di cinque giorni di manovre militari in tutta l’isola «per preparare le truppe e la popolazione a nuovi attacchi del nemico». Il quotidiano del partito comunista di Cuba, Granma, lunedì ha di nuovo accoppiato due notizie che sembrano dirette a Donald Trump. Da un lato, il presidente Raúl Castro ripete – dopo le congratulazioni – un segnale di disponibilità di dialogo col prossimo presidente Usa, anche sul delicato tema dei diritti umani. Dall’altro, il vertice politico cubano fa sapere che è disposto a ritornare alle barricate ideologiche se il magnate-presidente farà marcia indietro sul processo di normalizzazione iniziato da Obama. Anche le manovre sono politica. Il messaggio subliminale di Granma è chiaro: se finirà il processo di distensione e ricomincerà la linea dello scontro, Trump sarà l’unico colpevole.
A una settimana dal colpo di scena delle presidenziali nordamericane nei più importanti mass media si dibatte su quali saranno le misure di Trump verso Cuba. Non solo perché la fine della guerra fredda con l’Avana è tra i pochi «lasciti politici» concreti di Barack Obama. Ma anche perché si capirà l’atteggimento di Trump verso l’intera l’America latina.
Analista e storico ben collegato con i vertici del governo cubano, Jesus Arboleya sostiene che «l’elezione di Donald Trump non sarà né una tragedia, né un disastro per Cuba». Innazitutto, afferma, «Cuba non sarà una priorità» del magnate una volta insediatosi alla Casa bianca. Ben altre saranno le sue preoccupazioni, da un paese che esce diviso e conflittuale dal processo elettorale, ai rapporti con l’Europa e il Medio Oriente. Con l’Avana – sostiene l’accademico cubano -, Trump potrà agire sul terreno che preferisce, quello del business, scegliendo la via delle trattative, anche dure, come nel caso dei diritti umani, rispetto a quella della rottura. Altri analisti, nell’isola e in America latina, pensano e comunque si augurano che il magnate non dia seguito alle promesse fatte in campagna elettorale ai falchi della Florida e, come ironizzavano gli anticastristi, non «rivolti la frittata di Obama» ritornando ai tempi del mano dura con Castro.
Con Trump «ci potrà essere una marcia indietro rispetto a Cuba» fino ad arrivare a «un inasprimento dell’embargo e delle sanzioni contro l’isola», controbatte Jorge Duany, direttore del «Cuban researche institute» dell’Università della Florida. Duany si riferisce all’impegno del magnate in campagna elettorale a Miami: «Appoggeremo il popolo cubano nella sua lotta contro l’oppressione comunista». Un messaggio che non è servito a conquistare la potente comunità dei cubano-americani (i quali hanno votato, seppur con stretta maggioranza, a favore di Hillary Clinton), ma che ha procurato i voti della “pancia” della Florida. Una prima conseguenza sono le voci che circolano a Miami che Trump potrebbe mettere fine ai privilegi che i cittadini cubani godono una volta giunti negli Usa: ovvero la carta verde automatica dopo un anno.
Vi è un punto, però, sul quale sembra esservi un accordo tra le due linee di pensiero. Che la palla ora è decisamente nel campo nordamericano e dunque che la prima mossa tocca a Trump. Con il partito Repubblicano che controlla le due camere del Congresso, il nuovo presidente godrà di una vasta autonomia per decidere e mettere in pratica la propria linea.
Anche il presidente cubano non dovrà affrontare resistenze all’interno del partito-stato. Per il giornalista uruguagio Fernando Ravsberg, autore di uno dei blog indipendenti più seguiti a Cuba, «paradossalmente Trump potrebbe anche aver contribuito all’unità dei rivoluzionari cubani che avevano punti di vista differenti su come affrontare la politica (distensiva) di Obama». In sostanza, il vertice del partito comunista sarebbe compattato sulla linea sempre sostenuta da Fidel, ovvero che degli Usa bisogna diffidare. Per questo Raúl Castro ha dato indicazione al partito e al governo – e alle Forze armate – di mantenersi in guardia in attesa che un messaggero di Trump arrivi con discrezione all’Avana per chiarire le vere intenzioni del presidente statunitense.