il manifesto 16.11.16
5 punti critici nella riforma della responsabilità del medico
di Ivan Cavicchi
Con
la proposta di legge sulla responsabilità del medico all’esame
dell’aula del senato,il rischio è che la pezza risulti peggiore del
buco.
Quando all’inizio del suo percorso parlamentare proposi di
inserire nel testo una clausola di verifica (non accolta) cioè un
termine per fare un bilancio dei pro e dei contro, era perché ero e
ancora sono convinto che la questione in quanto tale non è ne
traducibile facilmente in una norma esaustiva e ne la norma è facilmente
applicabile nelle prassi ordinarie delle professioni. Le situazioni
concrete sono molto ma molto complicate.
La legge avrà successo
solo se riuscirà a ridurre il contenzioso legale, non ad accrescere il
grado di impunibilità del medico o a tutelarlo dagli oneri risarcitori,
mentre tanti sono i medici che pensano il contrario, cioè che la legge
avrà successo solo se garantirà loro una relativa impunibilità
indipendentemente dal problema del contenzioso legale. E già questo è un
bel problema.
Tra i possibili punti deboli della legge, il primo è
la scelta di campo sbagliata che ha fatto il legislatore: inquadrare il
fenomeno del contenzioso legale nel quadro dei problemi della sicurezza
delle cure, della prevenzione del rischio, dell’evento avverso, del
risk management.
Si tratta di una scelta che non coglie un dato di
fatto: la gente non denuncia i medici perché sbagliano (la fallibilità
fa parte dell’ordine normale delle cose), ma perché i medici non sono
capaci di avere relazioni con i malati e i loro famigliari.
Personalmente
per prevenire il contenzioso legale avrei agito su una riforma del
consenso informato quindi su una maggiore corresponsa- bilizzazione del
malato e di conseguenza avrei correlato la legge con un forte intervento
formativo dei medici.
Il secondo è che tutto l’apparato definito a
sostegno di tutte le proposte della legge (difensore civico,
osservatorio nazionale, centri, elenchi, ecc) è previsto a costo zero,
vale a dire che se le regioni lo vogliono fare se lo devono pagare.
Questo realisticamente è poco probabile che accada perché le regioni non
hanno neanche più gli occhi per piangere. Per cui senza supporti
tecnici resta come prima il medico contro il cittadino.
Il terzo è
il ricorso alle linee guida per garantire al medico l’impunibilità da
certi reati (non entro nei dettagli). Si corre il rischio di
istituzionalizzare la medicina difensiva cioè di indurre il medico a
salvarsi con il ricorso ordinario alle procedure indipendentemente dalle
necessità individuali del caso. Il che causerebbe un danno
incalcolabile alla qualità della medicina e alla sua credibilità.
Potremmo
avere una medicina appropriata alle linee guida ma inadeguata nei
confronti delle necessità del malato. E’ vero che per ammorbidire la
questione è stata inserita la frase «salve le specificità del caso
concreto» (proposta che per altro ho avanzato per tempo) ma la legge non
dice come tutelare il medico nel caso in cui egli derogasse dalle linee
guida per rispettare la singolarità del caso. Per cui è presumibile che
i medici assumano le linee guida come principio precauzionale
generalizzato. In questo caso dovremmo scordarci la personalizzazione
delle cure, l’umanizzazione, ecc.
Il quarto è la storia che
obbligando il malato all’inversione dell’onere della prova il medico
abbia risolto tutti i suoi problemi, in realtà il medico in un modo o
nell’altro in tribunale a discolparsi ci dovrà andare comunque sia in
caso di azione diretta nei confronti dell’assicurazione da parte del
paziente danneggiato, in quanto il medico è parte necessaria, sia che
venga citata la struttura, in quanto il medico è obbligato a
partecipare, in quanto parte attiva del procedimento.
Il quinto è
il terreno paludoso della questione assicurativa, della rivalsa, delle
coperture obbligatorie ancora troppo pieno di incognite, con il rischio
di scaricare i risarcimenti sul fondo sanitario nazionale (Tiziana
Frittelli su «quotidiano sanità» del 15 novembre) cioè di togliere soldi
alle cure dei malati.