il manifesto 13.11.16
Politica. È sempre più «Tg Renzi». Lo dicono i dati dell’Agcom
Sui
telegiornali Rai il premier occupa il 24% del tempo di parola e il 36%
del tempo di notizia. Quando Minzolini dirigeva il Tg1, Berlusconi non
aveva così tanto tempo a disposizione
di Giandomenico Crapis
Dopo
un silenzio durato parecchi mesi l’Agcom porta alla luce i numeri sul
pluralismo politico delle televisioni. Al di là delle percentuali sullo
spazio dedicato al Sì e al No, c’è un elemento che francamente continua a
stupire, soprattutto se paragonato alle rilevazioni di qualche anno fa.
Ed è lo spazio abnorme riservato dai telegiornali Rai al premier.
L’ultimo documento Agcom ci dice che i tiggì pubblici gli offrono una
media del 24% del tempo di parola e del 36% del tempo di notizia. In
testa c’è il Tg2 con il 26% e il 41% dei tempi suddetti, segue il Tg1 di
Mario Orfeo con cifre di poco inferiori (21,5% e 36,5%).
Ebbene:
si tratta di percentuali del tutto inedite nella storia della
televisione italiana. Un telegiornale che dedica un quarto o un terzo,
se non più, delle proprie notizie al presidente del consiglio in persona
(non al governo, attenti) è una cosa che non si era mai vista. A
Mediaset ai tempi di Berlusconi ci avevano abituati a coperture molto
elevate del premier, ma la Rai, invece, era rimasta molto al di sotto di
questi valori sino ad almeno il 2013. Le cose cambiano con l’avvento di
Renzi. La Rai che con Berlusconi, Monti e Letta aveva comunque dedicato
al capo del governo un’attenzione non comune in altri paesi, comincia
adesso con i suoi telegiornali a pedinare passo dopo passo il premier:
quest’ultimo ne occupa stabilmente una fetta sempre più grossa sia con
dichiarazioni riprese direttamente, sia con notizie che lo riguardano.
Così i numeri, già importanti, salgono clamorosamente. Basti pensare che
Berlusconi tra il 2009-2011 ottiene circa il 12% del tempo di parola,
Monti durante il suo mandato quasi il 18%, Letta il 15. Appena arrivato,
invece, Renzi, grazie anche all’effetto slides, supera a marzo del 2014
punte del 30%, poi si attesta su una media di oltre il 18%, prima di
salire ancora nel corso dell’ultimo anno al 20-21% (34% del tempo di
parola a dicembre 2015!).
Parallelamente il dato relativo al
governo, cioè ministri e sottosegretari, va negli anni calando,
lasciando sempre più spazio al premier. Con l’ultimo dato fornito
dall’Agcom, riguardante la seconda metà di ottobre, il premier è al 24%
del tempo di parola: cioè un quarto del tempo concesso agli attori
politico-istituzionali se lo mangia il Presidente del consiglio. Cui i
tiggì, non contenti di averlo fatto parlare così tanto, dedicano pure un
terzo delle notizie che raccontano. Ma così non succedeva nemmeno negli
anni ’50, dove il leitmotiv era dato piuttosto da ministri e
sottosegretari. Se poi guardiamo ai tiggì di Mediaset il quadro non
muta: anche se è curioso che Renzi qui raccolga tanto spazio, un fatto
in fortissima controtendenza rispetto ad altri presidenti del consiglio
che non si chiamassero Berlusconi. Gli va ancora meglio su Sky, che gli
concede un tempo di notizia del 38%. Se poi volessimo concentrarci sul
principale organo d’informazione del paese, qual è ancora il Tg1, ci
accorgeremmo che quando era diretto da Minzolini e governava Berlusconi,
quest’ultimo era lontanissimo dalle performance realizzate con la
direzione Orfeo dall’attuale presidente del consiglio. Quello stesso
Orfeo, si badi, all’epoca al Tg2, che, guarda un po’, rimproverava a
«Minzo» di fare un tiggì filogovernativo.
Insomma ce n’è
abbastanza per affermare senza tema di essere smentiti che la vicenda
del pluralismo televisivo italico, che pensavamo rasserenata con il
declino di B., continua a rimanere tormentata. Tanto da meritare qualche
riflessione ulteriore. Cos’è che spinge i direttori dei tiggì a
dedicare tanto spazio a Renzi? La chiacchiera quotidiana, ricca di
battute ad effetto, dell’ennesimo «maledetto toscano» non spiega tutto,
visto che anche Berlusconi parlava molto e faceva le battute. E allora,
cosa c’è di nuovo? A noi sembra che la caratteristica di Renzi rispetto
ai suoi predecessori sia di avere introdotto un uso martellante e
quotidiano dei media, di tutti i media nessuno escluso, social
soprattutto. Rispetto a Berlusconi, che usava soprattutto la tv, Renzi
fa un salto in avanti, usa anche lui moltissimo la tv, ma soprattutto
entra continuamente nel piccolo schermo grazie agli altri media:
facebook, twitter, radio, e un sistema organizzato di microeventi
centrati sulla sua persona.
Il fatto è, però, che pur di fronte ad
una strategia così aggressiva, non pochi di questi piccoli accadimenti,
reali o virtuali, non sarebbero nemmeno notiziabili, se ci fosse un
sistema informativo degno di questo nome. Un sistema che si sforzasse di
riconoscere, insomma, la notizia laddove essa veramente si manifesta e
non dove qualche mosca cocchiera batte le ali per attirare l’attenzione e
dirci che c’è. E così, drogato da un premier in perenne
sovraesposizione, incapace di giocare sul serio la carta dell’autonomia,
intossicato dalla politica (in tv anche nei formati leggeri), il
sistema tv dell’informazione nazionale rimane tutt’oggi alla perenne
ricerca di una normalità.