domenica 13 novembre 2016

Corriere 13.11.16
«Etruria, a giudizio trenta direttori»
di Fiorenza Sarzanini

La Procura di Arezzo chiederà il rinvio a giudizio di trenta direttori di filiale di Banca Etruria per truffa aggravata. Stessa sorte toccherà ai funzionari di vertice. Secondo i giudici i clienti dell’istituto toscano sono stati ingannati. Convinti ad acquistare obbligazioni subordinate nonostante si trattasse di un «prodotto» destinato ai «clienti istituzionali».
ROMA I clienti di Banca Etruria sono stati ingannati. Convinti ad acquistare obbligazioni subordinate nonostante si trattasse di un «prodotto» destinato esclusivamente ai «clienti istituzionali». Il decreto di fine indagine è stato notificato. Nei prossimi giorni la procura di Arezzo chiederà il rinvio a giudizio di trenta direttori di filiale per truffa aggravata. E subito dopo la stessa sorte toccherà ai funzionari di vertice dell’Istituto di credito che nel 2013 — quando la situazione patrimoniale era già critica — inviarono disposizioni affinché si cercasse di coinvolgere il maggior numero possibile di investitori anche tra chi «non ha un profilo finanziario adeguato», come veniva sottolineato nelle circolari rintracciate dalla Guardia di Finanza.
La mail riservata
È stato il suicidio di Luigino D’Angelo — pensionato di Civitavecchia che si è impiccato nel novembre scorso, 5 giorni dopo il decreto «salvabanche» del governo che ha reso carta straccia le obbligazioni causandogli una perdita di oltre 100 mila euro — a portare all’avvio di un’inchiesta sui rapporti tra Etruria e i risparmiatori. I fascicoli aperti in numerose città sono finiti per competenza al procuratore di Arezzo Roberto Rossi, sono un centinaio i direttori indagati nei confronti dei quali si stanno terminando le verifiche. E nel maggio scorso è stata rintracciata la prova del raggiro nei confronti dei clienti.
Due funzionari della direzione generale sono accusati di aver creato una vera e propria «cabina di regia» e di aver trasmesso una mail che intimava di coinvolgere nella sottoscrizione «anche la clientela retail e non soltanto quella professionale». A confermarlo sono stati gli stessi direttori di filiale durante l’interrogatorio, ma poiché hanno mostrato di essere consapevoli del danno provocato ai clienti, per loro è scattato il concorso nello stesso reato.
I dati falsi
È stata la Procura — in una nota diramata la scorsa primavera — a evidenziare come «gli investimenti in subordinate, su proposta dei responsabili d’area e degli uffici territoriali, sono stati prospettati a vari risparmiatori come investimento sicuro e analogo a quelli in obbligazioni ordinarie e titoli di Stato. Talvolta, il cliente è stato addirittura spinto a effettuare il disinvestimento di operazioni a capitale garantito per favorire l’acquisto delle obbligazioni subordinate, che gli era stato proposto come una promozione della banca rivolta ai propri clienti migliori, ma che doveva essere sottoscritto in tempi brevissimi». Il resto lo hanno fatto i controlli dei finanzieri facendo emergere la falsificazione dei dati dei clienti. Nelle schede personali sono state inserite indicazioni non veritiere sul titolo di studio, professione, età di chi accettava l’acquisto di obbligazioni, ma la cosa più grave riguarda la percentuale di capitale investito. Proprio per nascondere gli altissimi rischi imposti, in molti casi veniva indicato che il cliente aveva speso il 15% delle proprie disponibilità anziché l’80, o addirittura il 90% come era in realtà.
Il «buco» nei bilanci
Il bisogno di ottenere denaro derivava dalla disastrosa gestione di Etruria a partire dal 2010 e dall’inerzia degli ultimi amministratori che alla fine convinse Bankitalia sulla necessità di commissariarla. Una situazione poi fotografata nella relazione del commissario liquidatore Giuseppe Santoni che ha chiesto e ottenuto la dichiarazione di fallimento del tribunale e ha aperto la strada ai pm per la contestazione di bancarotta al Cda guidato dal presidente Lorenzo Rosi e dai suoi vice Alfredo Berni e Pierluigi Boschi, padre del ministro Maria Elena. In particolare i giudici di Arezzo hanno riconosciuto che, nel dissesto quantificato da Bankitalia in un miliardo di euro, sono stati concessi «finanziamenti da milioni di euro senza avere le adeguate garanzie di rientro», autorizzati «prestiti ad aziende in conflitto di interessi visto che erano riconducibili ad alcuni consiglieri o allo stesso Rosi», affidate «consulenze inutili per oltre 17 milioni». Anche questo filone di indagine potrebbe essere chiuso entro qualche settimana.