il manifesto 11.11.16
Trump già approva la colonizzazione israeliana
Israele/Territori
Occupati. Il consigliere del presidente eletto spiega che il tycoon non
considera gli insediamenti ebraici un ostacolo per la pace e assicura
che l'ambasciata Usa in Israele sarà trasferita a Gerusalemme, come
aveva promesso in campagna elettorale.
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Sprizzano felicità da tutti i pori i coloni israeliani e i ministri
ultranazionalisti del governo di destra di Benyamin Netanyahu. Il neo
eletto Donald Trump confermerà quanto aveva promesso a vantaggio di
Israele in campagna elettorale. Almeno questo è ciò che sostiene uno dei
suoi consiglieri più noti, Jason Greenblatt, candidato alla posizione
di inviato in Medio Oriente della futura Amministrazione americana.
«Trump non vede nelle colonie ebraiche un ostacolo alla pace» ha detto
Greenblatt intervistato ieri da Galei Tzahal, la radio delle forze
armate israeliane. Il consigliere ha aggiunto che il presidente eletto
considera un errore l’evacuazione delle colonie ebraiche a Gaza nel
2005. Parole che hanno mandato in visibilio i coloni e i loro leader,
alcuni dei quali seduti su importanti poltrone ministeriali. E devono
essere state accolte con favore anche da Netanyahu. Il premier in queste
ore evita di uscire allo scoperto ma la posizione di Trump è in linea
perfetta con quanto lui va ripetendo da anni: la colonizzazione ebraica
della Cisgiordania e di Gerusalemme Est è innocua e la responsabilità
della tensione, delle violenze e del fallimento del negoziato è da
attribuire soltanto ai palestinesi e ai loro leader.
La voce di
Greenblatt è diventata musica celestiale per i nazionalisti israeliani
quando il consigliere di Trump ha garantito che la nuova Amministrazione
non imporrà una soluzione di pace a Israele e, più di tutto, che
confermerà la promessa di trasferire l’ambasciata statunitense a
Gerusalemme. In questo modo gli Usa riconoscerebbero l’intera città,
inclusa la zona palestinese occupata nel 1967, come capitale dello Stato
ebraico. «Trump è un uomo di parola», ossia non sarà come i suoi
predecessori Democratici e Repubblicani, ha assicurato Greenblatt,
«perchè riconosce il significato di Gerusalemme per il popolo ebraico, a
differenza dell’Unesco».
Per il tycoon ora fioccano gli inviti
dei coloni e dei “templari” fautori della ricostruzione del Tempio sulla
Spianata delle moschee di Gerusalemme. Il deputato Yehuda Glick, che a
una conferenza sul tempio di qualche giorno fa ha incitato alla rottura
dello status quo ribadito dall’Unesco con la sua risoluzione del mese
scorso, ha invitato Trump a «salire» al Monte del Tempio. Poetico Yochai
Damari, capo del Consiglio regionale delle colonie di Hebron. «Stiamo
sentendo il battito delle ali della storia. Questa rivoluzione del 2016
mi riporta a 40 anni fa, alla rivoluzione del 1977 (quando la destra
vinse per la prima volta le elezioni in Israele, ndr)…Se avremo successo
potremo dire di essere all’alba di un nuovo giorno per gli insediamenti
e per lo Stato di Israele nel suo complesso». Un altro leader dei
coloni Yossi Dagan, ricordando di aver attivamente aiutato la campagna
di Donald Trump, ha esortato il governo a revocare il blocco alla
costruzione di nuovi insediamenti perché, ha avvertito, il presidente
americano eletto si sta rivelando più israeliano degli israeliani.
«Conosco le persone che circondano Trump – ha spiegato – alcune donano
agli insediamenti israeliani e sono anche più a destra di alcuni dei
nostri ministri».
Con queste premesse le intenzioni di Trump, se
messe in pratica, si riveleranno una miscela esplosiva capace non tanto
di far saltare l’ipotetico rilancio del negoziato israelo-palestinese –
inutile peraltro visti i rapporti di forza e il fallimento ormai
riconosciuto ovunque della soluzione dei “Due Stati”, a causa proprio
della colonizzazione – quanto di innescare gravi tensioni religiose
nella regione. Trump vuole regalare, definitivamente, Gerusalemme a
Israele e non sembra rendersi conto di cosa comporterebbe questa mossa.
Gerusalemme Est non è soltanto rivendicata dai palestinesi come loro
futura capitale politica. La Spianata delle Moschee, nella città
vecchia, è il terzo luogo santo dell’Islam e già troppe volte quelle
pietre si sono bagnate di sangue di fronte ai tentativi di infrangere
uno status quo che Israele si è impegnato a rispettare. L’ignoranza e
l’ottusità politica del nuovo presidente americano rischiano di
appiccare un incendio devastante in tutta la regione.