il manifesto 1.11.16
La Ue non si fida: flessibilità vincolata
Legge
di bilancio. Le spese per la ricostruzione e per la messa in sicurezza
del territorio potrebbero essere scomputate dal deficit, ma passando per
il Fondo Juncker
di Andrea Colombo
Il sisma è un
terremoto anche politico. E’ più silenzioso e discreto di quello che si
è abbattuto sul Centro-Italia, ma scuote dalle fondamenta il governo di
Matteo Renzi. Bruxelles fa sapere di non aver affatto apprezzato la
lettera di risposta del ministro Padoan ai rilievi avanzati dalla Ue.
«Una delle meno costruttive» tra le 5 lettere inviate dai Paesi sotto
osservazione, è la formula adoperata dalle gole profonde europee per
segnalare l’insoddisfazione della Commissione, che boccia le spiegazioni
dell’Italia e di Cipro mentre promuove quelle dei Paesi «costruttivi»,
Portogallo, Belgio e Finlandia.
Anche se non c’è nulla di
ufficiale i motivi della stroncatura sono nelle linee generali noti. I
pugni sul tavolo a uso referendario di Renzi e Padoan certo non sono
piaciuti a Bruxelles, ma il punto dolente non è quello. I tecnici
dell’Euro criticano i passaggi della missiva di Padoan nella quale si fa
rientrare nel debito strutturale sia la spesa per la ricostruzione che
quella per la futura messa in sicurezza delle zone sismiche. In
concreto, i guardiani europei temono, come spiega brusco ma non a torto
il forzista Brunetta, che Renzi voglia «fare quanto più deficit
possibile mettendolo in conto al terremoto ma usandolo poi per le sue
mance e mancette elettorali». Nessuno in Europa la metterebbe mai in
modo così esplicito, ma la sostanza è quella.
Infatti la via
d’uscita su cui puntano la Ue e la Germania sarebbe concedere i margini
di flessibilità richiesti, ma chiedendo all’Italia di passare per il
Fondo europeo per gli investimenti strategici, il Fondo Juncker. E’ una
soluzione che permetterebbe di migliorare la situazione del debito
strutturale italiano, andando così incontro alle richieste dei falchi
tedeschi, ma soprattutto vincolerebbe i fondi alle spese indicate
permettendo al Fondo di controllarne l’uso.
Sarà che i guardiani
del rigore sono troppo malfidati? Stando ai conti per la verità no.
Padoan nella lettera indica i fondi necessari per la ricostruzione delle
zone terremotate in 3,4 miliardi, la stessa cifra di cui il governo ha
sempre parlato in Italia. Nella legge di bilancio, partorita dopo
lunghissime doglie dal governo e arrivata solo venerdì scorso al capo
dello Stato, per il terremoto sono però indicati solo 600 milioni. La
giustificazione del governo è che i fondi sono sparsi per i vari
ministeri, ma a fronte di una disparità così clamorosa è una
giustificazione che regge poco. La situazione non migliora se si guarda
al decreto terremoto, quello che Renzi ha chiesto con l’abituale tono
perentorio al Parlamento di approvare immediatamente come se non fosse
stato proprio lui a presentarlo solo a ottobre inoltrato, oltre un mese
dopo il sisma, e se non fosse la maggioranza a tenerlo in commissione
Bilancio al Senato dal 25 ottobre dopo l’approvazione della Camera l’11
dello stesso mese. In quel decreto i fondi scarseggiano: 266 milioni per
quest’anno, appena 81 per il prossimo.
Probabilmente la
situazione è destinata a mutare considerevolmente nei prossimi giorni:
calcoli fatti su un numero di sfollati che si è moltiplicato con la
mazzata di domenica sono ormai archeologia. Ma i fondamentali del
confronto non muteranno. Ieri Merkel ha assicurato, attraverso il suo
portavoce, che il Patto di stabilità prevede «una buona porzione di
flessibilità» che «può e deve essere applicata intelligentemente». E
Renzi ha negato tensioni con Bruxelles: «Nessun braccio di ferro. Stiamo
rispettando le regole che prevedono clausole eccezionali e un terremoto
di 6.5 lo è. Non c’è nemmeno una trattativa in corso, la telenovela
sulla manovra c’è da sempre».
Sono, al solito, i toni che il
premier deve usare in vista del referendumi. Il “muso duro” rischia però
di rendere la situazione ancora più tesa. Se la Ue non potrà non
prendere atto di una situazione innegabilmente eccezionale è altrettanto
vero che al momento non sembra avere intenzione di aprire i cordoni
della borsa lasciando poi Renzi libero di spendere a piacimento.