domenica 6 novembre 2016

Corriere La Lettura 6.11.16
Mamma s’è iscritta a Facebook e ha vinto la solitudine
Con i condomini, quasi tutti coetanei, si dà ancora del lei dopo cinquant’anni di conoscenza e non va oltre un rapido aggiornamento sulla salute
Ma ora, eccola che si ferma per strada a digitare un saluto entusiasta a un uomo che non ha mai incontrato di persona o scattare e postare foto di tramonti
La morale? Prescriviamolo agli over 70, ma vietiamolo fino ai 69
di Mauro Covacich

A un certo punto mia madre è cambiata. La voce soprattutto. Di solito gravata di un velo grigio — nei giorni peggiori neutra, protocollare, pur di nascondere la tristezza – d’un tratto è diventata briosa, la telefonata quotidiana ha cominciato a svilupparsi in modo diverso, era entrata una ventata di aria nuova. Sulle prime mi sono limitato a godere della novità, anche perché, se provavo a chiedere conto, lei rispondeva: mah, non so, chissà, sono sempre la stessa. Poi ho capito. L’ultima volta che ero tornato a Trieste l’avevo vista trafficare su un tablet, gli occhiali in punta di naso, le dita sempre più simili a rametti. Toh, Facebook. Si era aperta un profilo col nome da nubile, le piantine del balcone per foto. Mi sembrava una cosa di cui sorridere, da guardare con la classica condiscendenza del primogenito, invece stava accadendo un fatto che solo uno sciocco pieno di pregiudizi poteva sottovalutare. Ma questa seconda vita va spiegata bene, sgombrando subito il campo dagli equivoci: non c’è nessun grande amore, nessun risveglio dei sensi, è solo la prima vera emancipazione di una donna che ha compiuto settantasette anni.
Mia madre è un’ ex operaia semiscolarizzata che ha seguito le idee di mio padre finché mio padre era vivo, e poi ha seguito le mie, sostituendo via via le letture del Reader’s Digest e di Euroclub con i libri che le passavo io, appassionandosi a Verga quando studiavo Verga, a Proust quando studiavo Proust, leggendo tutti i libri dei miei amici (così come un tempo si fermava a vedere le gare dei miei compagni di squadra, quando finiva la mia), fino a deliziarsi con i piatti più raffinati, da autentica buongustaia: Yehoshua, Coetzee, Munro, Roth, DeLillo, Ernaux, eccetera.
Con questo non sto dicendo che non abbia mai manifestato un suo punto di vista personale, anzi, nemmeno le letture più sconvolgenti dei suddetti giganti ne hanno mai intaccato la concretezza e un’istintiva fedeltà al senso comune. Sto solo dicendo che sono il responsabile, nel bene e nel male, della formazione culturale di mia madre (non escludo che i più maliziosi potrebbero anche chiamarlo plagio) e che Facebook, ovviamente non previsto nel piano di studi, ha avuto su di lei una funzione a dir poco liberatoria mostrandomi, per contrario, quanto fosse inibente e khomeinista il mio sguardo di precettore, sguardo di cui ho riconosciuto qualche tratto, con notevole imbarazzo, nel documentario apocalittico che Werner Herzog ha appena dedicato a internet, Lo and behold . Ma procediamo per gradi: prima l’umore di mamma.
Come ho già detto, è una donna malinconica, segnata da una vedovanza precoce che l’ha chiusa in una specie di tristezza sabiana, solitaria e pensosa. Le due tre colleghe con cui ogni tanto prendeva il caffè ha smesso di vederle subito dopo la pensione (giunta anch’essa molto presto). Con i condomini, quasi tutti coetanei — un vicinato solidale che dura da cinquant’anni — si dà ancora del lei e non va oltre un rapido aggiornamento sulla salute. Le sue giornate le passa dietro ai nipoti, i figli di mia sorella, che però nel frattempo hanno superato entrambi la soglia del babysitteraggio e spesso si sottraggono al pranzo della nonna pur amandola di un amore folle, ma cedendo al richiamo dei tramezzini trangugiati in allegra compagnia al bar davanti al liceo.
In ogni caso, anche da giovane mia madre era tutto fuor che socievole. Per nulla misantropa, anzi, incline per cultura e sensibilità all’afflato umanitario, è stata tuttavia sopraffatta da una timidezza che si è calcificata nel tempo, fino a renderla definitivamente refrattaria a ogni contatto.
Tutto questo prima della scoperta di Facebook. Ora ha una quarantina di amici. E scrive. Sì, mia madre, che in tutta la sua vita avrà fatto una decina di temi in classe e spedito qualche cartolina, ora posta commenti, esprime i suoi pensieri in forma scritta sui fatti del giorno. Come so queste cose meravigliose? Be’, perché da un po’ di tempo la spio attraverso la mia compagna (io, per lo sciocco khomeinismo di cui sopra, non sono su Facebook). Susanna le ha chiesto l’amicizia — il che spiega almeno in parte il curioso assortimento di amici di mia madre: una signora di Tirana, due giapponesi! — e l’ha aiutata a cancellare dalla lista alcuni tizi di cui aveva condiviso le istanze animaliste per scoprire, nel post successivo, che si auguravano l’affondamento di un altro barcone di migranti a largo di Lampedusa. Ma davvero poca roba, un paio di neonazi, i soliti contribuenti ineccepibili con la bava alla bocca, niente a confronto del calore dei video pieni di cuccioli pigolanti, le carezze digitali che per fortuna continuano ad arrivarle pressoché ogni giorno, rincuorandola sulla bellezza del mondo.
Ecco, i cagnolini ad esempio se li scambia con una mia cugina di Brescia che né io né lei vedevamo da più di vent’anni. Non ci telefonavamo più neanche per Natale. I parenti di Brescia li avevamo dimenticati laggiù nella loro vita scalognata, fatta di lutti, debiti e fatiche. Poi un giorno mia cugina ha trovato la sua zia triestina su Facebook e ha cominciato a mandarle cagnolini. Dopo otto ore a lavare infermi in casa di riposo, afferra lo smartphone e saluta mia madre: Ciao zia, ti auguro una buona serata . Ma anche altri amici lo fanno, questa usanza degli auguri è molto diffusa nel giro di mia madre. Ti auguro una giornata serena . Oppure: Buon giovedì . Ogni tanto qualcuno le manda un mazzo di fiori — l’icona, s’intende — e lei apprezza moltissimo.
Tra i più galanti c’è un otorino romano in pensione, a cui lei si rivolge chiamandolo dottore. Grazie dottore! I cani li condivide anche con una mia ex, la prima morosa storica, che un giorno ha incontrato per caso in compagnia della mia zia più giovane, sua sorella minore, iniziando subito con entrambe una fitta corrispondenza. Poi c’è, non so come, un mio vecchio collega dei tempi in cui insegnavo ( Buongiorno, professore! ). Poi c’è la morosa del figlio più grande di mia sorella, una ragazzina spigliata che le fa i complimenti per le melanzane impanate ( Altro che i tramezzini! ). Insomma, il suo nuovo mondo, a cui risponde con spiritosaggini altrettanto ricche di emoticon e punti esclamativi. Dopo aver respinto per anni ogni mio tentativo di lenire la sua solitudine — le gite in pullman, il volontariato in parrocchia, i corsi di tai chi — eccola che si ferma all’angolo della strada come presa da un fremito, inforca gli occhiali e digita un saluto entusiasta a un uomo che non ha mai incontrato di persona. Durante le sue giornate solitarie, camminando per le vie del centro o sulle rive, scatta foto ai tramonti sul golfo triestino e i nuovi amici la ringraziano, tempestivi quanto o più di lei, sicché la malinconia, pur non essendo svanita del tutto (d’altronde è un male di famiglia), è diventata perlomeno sostenibile, e proprio grazie a questa effervescenza comunicativa. Ma soprattutto la timidezza non le è più di intralcio, può starsene tranquilla a casa e scrivere Auguro una buona giornata a tutti i miei amici! , ovvero sentirsi parte di un gruppo, socializzare e giocare (mia madre che gioca, pazzesco). Ora sul suo profilo, al posto delle piantine, c’è un autoritratto che dev’essersi scattata di recente: lei al naturale, seduta sulla sedia accanto ai fornelli, che guarda dritta nell’obiettivo dopo decenni di fughe davanti alla macchina fotografica.
Poi certo, umore a parte, ci sono anche i cambiamenti riguardanti la conoscenza. Mia madre sa molte più cose di prima. Beninteso, quasi tutte poco plausibili, ma l’approccio non è più passivo come quando guardava la tv. Niente più grandi obesi, niente più malattie imbarazzanti. Ora mi parla delle scie chimiche. E quando provo a farla ragionare, reagisce battagliera, non abbozza più come prima. Anche politicamente sta abbandonando le posizioni del passato. Da ragazza si è iscritta alla Cgil come mio padre, più tardi in modo abbastanza automatico ha votato Pd. Ma ora i dissidi interni al partito hanno minato le sue convinzioni, sminuzzando con inedita spavalderia anche le ultime briciole di quello che per lei, da addetta alle macchine, è sempre stato un dogma: lo spirito di squadra. Così il ritmo contagioso di Facebook, il suo linguaggio prima ancora dei contenuti, l’ha portata a simpatizzare per i Cinque Stelle. Forse è vero, è diventata meno riflessiva. Le è successo ciò che Byung-Chul Han non smette di dire nei suoi saggi sentenziosi ( Nello sciame , Psicopolitica , entrambi editi da Nottetempo) parlando di dittatura dell’emozione e sostenendo che l’attacco alla riflessione da parte di una comunicazione sempre più legata all’immediatezza risulterà letale per la democrazia rappresentativa. Ma a me piace un sacco farmi indottrinare da mia madre sulle ragioni del No al referendum, intendo le sue ragioni — d’altronde, in un attimo siamo diventati tutti esperti costituzionalisti — ne vengono fuori telefonate scoppiettanti, con scaramucce del tipo: Come, non lo sapevi? No mamma, non lo sapevo, e questa dove l’hai sentita? Su Facebook!
Quindi, non escludo che internet sia Satana in persona, come dicono alcuni intervistati di Herzog, ed è molto probabile che Facebook diminuisca i tempi di attenzione e più in generale le capacità di analisi, ma, dipendesse da me, lo prescriverei a tutte le signore e ai signori al di sopra dei settant’anni che soffrono di solitudine (ovviamente proibendolo dai sessantanove in giù). Arrivati ai settanta direi che si è riflettuto abbastanza: niente di più bello che continuare a farlo se si ha qualcuno con cui confrontarsi, ma se si è soli forse aiuta di più condividere un post sulle scie chimiche. Mia madre ne ha appena scritto uno sulla maleducazione delle neomamme con i bimbi in carrozzina — mai che lasciassero il passo a noi vecchie! — venti righe da cui traspare, lo dico con tutta la cautela possibile, una nuova gioia di vivere.